giovedì 23 agosto 2018
Bollettini meteo, segnalazioni dei rischi, regolamenti: la Protezione civile si affida ai Comuni, a cui spesso mancano strumenti di comunicazione e piani. Ma c’è anche un’Italia virtuosa
Emergenza (Ansa)

Emergenza (Ansa)

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La tragedia del canyon del Pollino, con i suoi 10 morti travolti da uno tsunami di fango in tenuta da spiaggia, con asciugamani e infradito, lascia una coda di polemiche con una domanda insistente, se si vuole anche ingenua: ma quella gente sapeva, dei rischi cui stava andando incontro? Qualcuno li aveva avvertiti? Più in generale: come si fa, in una giornata di vacanza, quando si arriva da turisti in una località che non si conosce, a sapere che quel giorno in quel luogo c’è un’allerta meteo?

Pensare che l’Italia, oggi, ha un sistema di Protezione civile da far invidia all’estero. Con una capillarità straordinaria, garantita dal costante rapporto coi singoli Comuni, che tuttavia negli ultimi anni ha mostrato essere anche il suo tallone d’achille. La legge infatti individua nel sindaco «l’autorità comunale di protezione civile» mentre il Consiglio comunale ha l’obbligo di approvare il Piano delle emergenze per il suo territorio. E il primo punto è questo: finora, infatti, solo l’88% dei Comuni (6.949 su 7.935) ha approvato il documento. E se si analizzano i dati delle singole regioni forniti dal Dipartimento della Protezione civile (a cui i suddetti piani vanno comunicati) viene fuori che proprio in Calabria ad adottarli è stato il 78% dei Comuni (317 su 409), la stessa percentuale della Lombardia.

Peggio fa la Sicilia, realtà a forte rischio sismico, dove ad adottare un Pec sono stati appena 190 enti locali su 390 (il 49%). A quota 100% troviamo invece Friuli Venezia Giulia, Marche, Umbria, la Provincia Autonoma di Trento e la Valle d’Aosta. Altro problema: la legge non prevede un archivio nazionale in cui raccogliere questi Piani, quindi non e dato sapere quali degli oltre ottomila Comuni italiani ne siano sprovvisti.

Ed è proprio il Piano comunale delle emergenze che dovrebbe prevedere anche come far arrivare ai singoli residenti o ai turisti gli avvisi di allarme. La cosiddetta “mitigazione del rischio” – che poi è la concretissima probabilità di salvare vite umane – passa proprio per un’allerta tempestiva che deve essere anche divulgata, così come le azioni che ciascuno deve mettere in atto per evitare il disastro.

Nel caso di Civita il capo della Protezione civile calabrese, Carlo Tansi, ha dichiarato che la Regione nei giorni precedenti aveva emanato i bollettini di allerta meteo e per il rischio idrogeologico. Addirittura l’amministrazione comunale nel febbraio scorso ha deliberato un regolamento con tanto di divieti sulla fruizione della zona, soprattutto da parte dei bambini. Eppure le persone erano lì, lunedì scorso, a godersi quella bellezza naturale. Ecco perché gli inquirenti dovranno accertare ora anche se e in che modo sono stati posti e fatti conoscere gli avvisi al pubblico previsti dal regolamento. Proprio la mancanza di una comunicazione finale, infatti, vanifica il lavoro quotidiano degli esperti del Centro funzionale della Protezione civile, i quali analizzano i dati assieme ai loro colleghi dei centri regionali: uno scambio continuo di informazioni che all’occorrenza porta all’emissione del bollettino di allerta che poi, dagli uffici regionali, viene inviato ai Comuni, alla Prefettura, ai vigili del fuoco e alle forze dell’ordine.

Ed eccola, la solita Italia che marcia a due velocità. Ci sono Comuni – tanti – che non sono dotati di alcun metodo di informazione ai cittadini. Una situazione tale che, in un capoluogo di provincia da mezzo milione di abitanti come Latina, ha portato la Prefettura a farsi carico di rigirare alla stampa locale le allerte meteo, così da renderle pubbliche. Con – in aggiunta – il problema del “fattore umano”: di uffici, cioè, sguarniti di personale nelle ore pomeridiane o nelle giornate festive, di altri fermi ancora all’impiego del fax e senza connessione Internet o pc.

In altri territori gli enti locali hanno dimostrato di voler reagire. A Cagliari dallo scorso novembre il Comune permette di registrarsi per ricevere le allerte meteo in formato “sms” sul cellulare: ovviamente è un servizio gratuito, così come a Foligno con la piattaforma Alert System. Sistemi che tra l’altro si uniscono all’uso di altri canali sui social network, con Facebook, Twitter e Telegram tra i più utilizzati. In altri casi vengono usate “app” per i cellulari, veri e propri programmi da scaricare sul telefono, che permettono l’aggiornamento. È il caso, per esempio, delle città liguri di Sestri Levante e Calizzano con l’applicazione gratuita “ComuniCare”.

A Piacenza, invece, la Protezione civile comunale utilizza il sistema Nowtice affiancato dalla “app” FlagMii, per inviare ai cittadini allerte in caso di emergenza: si può scegliere un servizio cui registrarsi (con la relativa modalità di ricezione) o di avere l’app sempre sul telefono. E sono sistemi che permettono di raggiungere anche coloro che hanno solo la linea fissa a casa.

Ma c’è anche chi spinge a fondo l’acceleratore. È il caso della Toscana, dove l’Anci (l’Associazione nazionale dei Comuni) mette a disposizione di tutti gli enti locali, in collaborazione con Regione, una piattaforma per comunicare alla popolazione, non solo gli stati di allerta in corso ma anche i principali contenuti del Piano di protezione civile comunale. Il servizio è fornito anche qui sotto forma di “app” e di sito Internet. Il Comune di Prato lo ha integrato con gli altri strumenti che già utilizzava: un esempio di comunicazione virtuosa. A cui occorre uniformarsi.

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