Si torna a discutere di omicidio stradale dopo quanto accaduto a Salerno, in quel bar dove quattro ragazzi erano andati per parlare delle cose della vita, trovando nel modo più insensato la morte. Ma se nello stesso momento, dall’altra parte dello Stivale, un esercito di 200 studenti ubriachi può prendere in ostaggio il cuore Firenze, trasformando Santa Maria Novella nel palcoscenico di un rave party per ore (con tanto di pattume e urine sparsi ovunque) il dubbio è che il nemico da combattere non si possa chiudere in cella, e che l’entità dei reati sia un capitolo importante ma non fondamentale della questione. Il nemico si chiama alcol e anche se i numeri del suo impatto sulle nuove generazioni sono arcinoti vale senz’altro la pena di ricordarli: secondo l’ultima relazione stilata dal ministero della Salute sul problema e relativa al 2013, gli under 30 rappresentano il 9% dell’utenza a carico presso i servizi per l’alcoldipendenza. Significa uno su dieci. E la prima sbronza arriva sempre più presto: già tra gli 11 e i 12 anni, secondo gli esperti mentre per l’Istat più di due ragazzi su cento (nella fascia 11-24 anni) si sono ubriacati almeno una volta. A spopolare è il «binge drinking», l’abbuffata sporadica di alcol ma devastante: ne è coinvolta il 6,9% della popolazione di 11 anni e più, ma tra i giovani maschi di 18-24 anni il fenomeno interessa ben il 20,1%. L’età del pirata di Salerno e dei ragazzi dell’Erasmus (e non) “in gita” a Firenze. L’età in cui – e questo dal ministero della Salute veniva considerato un elemento positivo fino a ieri – i nostri giovani dimostrano anche (rispetto ai coetanei europei tra i 15 e i 24 anni) un’ottima consapevolezza del rischio legato all’uso occasionale di alcol: il 41% lo considera un pericolo medio-alto, mentre la media continentale si ferma al 26. Dunque si conoscono i rischi, se ne parla, il fenomeno è persino leggermente in calo rispetto agli anni passati ma poi si cede alla tentazione. Forze pensando che in fondo «non capiterà niente di male, non a me». E invece di alcol si muore, non solo a Salerno, non solo fuori dalle discoteche, dove il 118 raccoglie ormai da Nord a Sud frotte di ragazzi in coma etilico o peggio con bollettini locali da brivido, dall’Emilia Romagna fino alla Sardegna. Anche qui, una tragedia quantificabile in numeri: In Italia nel 2010 complessivamente 16.829 persone – di cui 11.670 uomini e 5.159 donne di età superiore ai 15 anni – sono morte per cause totalmente o parzialmente attribuibile al consumo di alcol. Guidavano come furie sulle strade senza sapere dove andare, attraversavano ignari la strada, aspettavano l’autobus per la scuola: carnefici e vittime, nel conto finisce tutto senza distinzioni. L’unica certezza, per il ministero, è la “frazione alcol-attribuibile” dei decessi per incidenti stradali: 37 % per i maschi e del 18% per le donne. In pratica, un decesso su 3 per i maschi e uno su 5 per le donne potrebbe essere evitato non ponendosi alla guida dopo aver bevuto. La strada della (ri)educazione è lunga e difficile. Pene più severe ne fanno parte, ma non esauriscono il ventaglio di soluzioni da mettere in campo subito, a cominciare dalle famiglie e dalla scuola. Solo qualche giorno fa il
Corriere della Sera anticipava i risultati di un’indagine promossa dall’Osservatorio permanente giovani e alcol sui ragazzi delle medie di Milano: dai risultati è emerso che solo l’11,9 per cento dei giovanissimi ha «genitori che sono stati in grado di affrontare l’argomento». Ed è anche emerso che se gli amici si ubriacano, otto su dieci si lasciano condizionare. Magari finendo con l’amplificare la bravata sui social network, di cui i ragazzi – come documentato appena qualche giorno fa dalls Società italiana di pediatria – sono nuovamente i principali fruitori, e anche le vittime.