PIACENZA, IL SOSTEGNO OLTRE LA MALATTIA«Un’emozionante lezione d’amore». La definì così Oscar Luigi Scalfaro il 15 marzo 1993, in visita alla città di Piacenza nelle vesti di Presidente della Repubblica: la casa accoglienza per malati di Aids in località La Pellegrina sarebbe stata inaugurata due mesi dopo, il 29 maggio. Erano gli anni della “peste del secolo”. Una nuova categoria di poveri bussava alla porta e la Chiesa piacentina scelse di non rimanere indifferente. È a chiusura del Sinodo diocesano del 1990 che emerge la proposta di un’opera-segno che esprimesse la vicinanza alle persone colpite da Hiv. La gestione fu affidata all’associazione “La Ricerca” di don Giorgio Bosini, già impegnata nel recupero dei tossicodipendenti. La Caritas si assunse il compito di sensibilizzare il territorio, la diocesi mise a disposizione la casa colonica nella prima cintura cittadina, che sarà intitolata a don Giuseppe Venturini, direttore della Caritas, tra i primi sostenitori dell’opera. In diciott’anni, sono passate alla “Pellegrina” - com’è familiarmente chiamata dai Piacentini - 130 persone. «Fummo sommersi di richieste disperate di un tetto, un piatto caldo, un letto», ricorda la “colonna” della casa, suor Paolina Voltini delle Figlie di Sant’Anna, infermiera. «Fu un periodo molto doloroso: sapevamo che le persone venivano qui a morire, erano abbandonate a se stesse e ci sentivamo impotenti - racconta -. Capimmo poco per volta che dovevamo essere semplicemente vicini, comunicare la nostra speranza, la nostra convinzione che la vita non finisce con la morte. Ci vennero in soccorso psicologi, un sacerdote, corsi di formazione, ma soprattutto ci aiutò molto il sostegno reciproco».Oggi che, grazie alle terapie anti-retrovirali, di Aids non si muore in tempi brevi, si apre la sfida dell’integrazione. «Lo slogan della Giornata 2011, “Zero Discriminazioni”, è ancora lontano dall’essere realtà», evidenzia Francesca Sali, che dal 2009 dirige la “Don Venturini”. Gli ospiti sono 10, più 3 in assistenza domiciliare. «Portano un carico di disagio che va oltre le problematiche della malattia: la mancanza di una famiglia, fallimenti personali... Ci manifestano soprattutto un forte bisogno di amicizia, di relazioni significative». Lo conferma Alberto (il nome è di fantasia,
ndr), 50 anni, ex tossicodipendente. «Quando, nel 2004, sono arrivato dopo tante esperienze fallite in comunità, ho trovato un posto “caldo”. Ho riscoperto quei valori che forse avevo già dentro di me, ma che non avevo mai pesato abbastanza». Alberto ora vive per conto suo, ha un lavoro. «Spetta alla mia generazione, che la malattia l’ha pagata, rompere la barriera delle paure», dice, convinto.L’isolamento si vince con l’ascolto. L’associazione “La Ricerca”, in collaborazione con l’Ausl, apre oggi al reparto Malattie Infettive dell’ospedale uno Sportello Counseling. «Chi risulta positivo al test ha bisogno di un accompagnamento che coinvolga i familiari - fa notare Patrizia De Micheli, operatrice dell’associazione -. Come pure i malati cronici necessitano di sostenere la fatica di una malattia in continuo monitoraggio».
Barbara SartoriCOMO, L'HIV NON RISPARMIA GLI ANZIANIMimmo non ha mai fatto il conto di quanto gli rimane. A 65 anni e 16 di Aids alle spalle, ogni giorno è regalato. «Spero solo di non finire come quello lì», sibila indicando il ragazzo pelle e ossa che entra steso su una barella.A Como nella comunità "La Sorgente", voluta dalla diocesi e promossa dai padri somaschi, la vita è una conquista. Ci puoi incontrare lo sguardo malinconico di Marina: «Stavo bene, non mi mancava nulla, poi la droga, l’alcol, il vagabondaggio». Il resto l’ha fatto l’Hiv. Gli ex tossicodipendenti oggi non sono che una parte neanche maggioritaria degli ammalati. «Ci sono professionisti stimati, mariti in apparenza irreprensibili – racconta Daniele Isidori, responsabile del centro –. Soprattutto tanti giovani». Quelli dello sballo del sabato sera a base di superalcolici, anfetamine, un tiro di coca e incontri occasionali da cui non si torna indietro.«Il 70% delle donne – spiega la professoressa Antonella d’Arminio Monforte, direttore della Clinica di malattie infettive del San Paolo di Milano – viene infettato da un partner stabile, mentre il 76% dei maschi contrae il virus durante un rapporto occasionale. È quindi l’uomo che normalmente "porta" la malattia all’interno della coppia». Com’è accaduto ad Andrea, cinquantenne sempre di fretta: manager ben pagato, sportivo, viaggiatore instancabile, marito da invidiare. Poi questa estate s’è sentito male durante le vacanze con la moglie. Lei lo ha mollato appena visto gli esiti degli esami di laboratorio.Mimmo intanto si lascia andare all’introspezione. Merito anche del laboratorio di scrittura autobiografica avviato nel centro "La Sorgente". «Ho fatto la vita che ho fatto. Non immaginavo che potesse accadere a me. Pensi sempre che semmai capiterà agli altri». In fondo a lui sta andando meglio di molti altri. «Le terapie funzionano. Non guarirò, certo, ma ho una pensione, mi reggo in piedi e non ho bisogno di assistenza continuativa. Almeno per ora».Neanche il nonnetto che a 82 anni scorrazza in carrozzella avrebbe mai immaginato di dover pagare così caro l’inconfessabile capriccio. Colpa di modelli sociali che hanno tolto il senno perfino a chi saggio dovrebbe esserlo almeno per dati anagrafici. «E colpa anche della "pillola blu"», sorride amaro un operatore. Rimasto vedovo, l’anziano aveva preso in casa una colf africana. «Da cosa nasce cosa», riassume Mimmo che all’82enne toglie di bocca le parole e l’imbarazzo. La badante era però sieropositiva.I più giovani non hanno smesso di sognare. «Ho pregato di poter ricominciare a uscire, avere il cellulare, poter comprare una camicia ed un paio di scarpe», ha scritto Ernesto nel diario di gruppo. «La maggioranza – annota Isidori – si ritrova senza più una fonte di reddito, privati del sostentamento e spesso abbandonati dagli affetti». Da quando esiste, "La Sorgente" ha assistito 126 persone. L’età d’ingresso varia tra i 32 e gli 82 anni, ma l’età media degli ospiti attualmente assistiti è di 50 anni. Domani a Como terranno uno spettacolo (www.somaschi.it), per farsi conoscere e per raccogliere fondi. Un modo per vincere anche i pregiudizi. «Non è raro venire isolati dai propri familiari – racconta Mimmo –, perciò non c’è da sorprendersi se amici e colleghi quando sanno che hai l’Aids girano alla larga».Il desiderio di Marina è in fondo quello di tutti: «Ho pregato di avere affetto, qualcosa che mi facesse capire che io esisto».
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