Fiori e candele nella palestra della scuola di Beslan, dove venivano tenuti gli ostaggi (Ansa)
Di attentati terroristici ce ne sono stati tanti nel XXI secolo. Le Twin Towers furono un’ecatombe. Ma quello che accade alla scuola numero 1 di Beslan, in Ossezia del Nord, tra il 1° e il 3 settembre 2004 desta forse ancora più orrore. I morti alla fine sono "appena" 334, ma di questi 186 sono bambini. I più piccoli presi come ostaggi e uccisi. Un incubo indicibile.
Il 2 settembre su Avvenire questa è la cronaca di Giovanni Bensi che scrive da Mosca (la strage di Beslan non ebbe praticamente alcun giornalista testimone diretto): «Ieri in Russia era il primo giorno di scuola e nella città di Beslan, in Ossezia del Nord, è incominciato tragicamente. Mentre gli scolari, i loro genitori e gli insegnanti, intorno alle 9, partecipavano in cortile alla cerimonia inaugurale nella scuola N. 1 del quartiere Pravoberezhnyj, l’edificio di tre piani è stato assalito da un gruppo di terroristi armati e mascherati». Si saprà poi che i terroristi ceceni erano 32 e gli ostaggi furono circa 1.200, costretti per 56 ore nella palestra senza acqua né cibo. Prosegue il sommario: «Otto vittime civili nell’azione a Beslan Una sessantina di ragazzini sono riusciti a fuggire nelle prime fasi dell’agguato Minato tutto il complesso. I ribelli chiedono il ritiro delle truppe russe dalla Cecenia e la liberazione dei guerriglieri in carcere».
La cronaca è scarna perché da Beslan le notizie arrivano con il contagocce e non sempre potrebbero essere attendibili. Avvenire gioca dunque le sue carte migliori con gli approfondimenti. Come questo delle primissime ore, con Bensi che intervista lo storico Georgij Il’ich Mirskij, direttore del Centro di studi sull’islam radicale presso l’Istituto di Economia mondiale e relazioni internazionali (Imemo) dell’Accademia delle Scienze di Mosca. Mirskij parla di «rete polverizzata» del terrorismo, e dà questa interpretazione: «I terroristi non compiono i loro attentati a causa della povertà, ma per la profonda convinzione di essere al servizio di una causa giusta. Essi lottano contro i "nemici dell’islam" e per questo sono pronti a rinunciare alla vita. Sono profondamente convinti della superiorità della loro religione e del fatto che l’islam deve diventare la forza-guida del mondo. Il fatto non è solo che, si dice, gli promettono il paradiso e altro; essi sono pieni di tale fanatismo che accettano con gioia la morte».
Come affrontare un simile avversario? Immediatamente (Avvenire del 3 settembre) Putin esclude una soluzione di forza: «Attualmente l’obiettivo principale è la salvezza della vita e la conservazione dell’incolumità delle persone tenute in ostaggio dai terroristi nella scuola di Beslan. L’azione delle forze a cui è affidato il compito della loro liberazione sarà condizionata esclusivamente da questo obiettivo». Accadrà l’esatto contrario, anche se ancora oggi esistono almeno cinque versioni su come il 3 settembre si scatenerà la battaglia. Accadrà quello che tutti dicono di scongiurare, compreso l’amministratore apostolico del Caucaso per i Latini, monsignor Giuseppe Pasotto, raggiunto al telefono dal Sir: la speranza «è che questa vicenda possa chiudersi senza spargimenti di sangue attivando i giusti canali di dialogo. Non è con le armi che si risolvono i problemi. Invitiamo tutti alla preghiera, alla condivisione e alla solidarietà con le famiglie colpite da questo dramma». Analogo è l’appello del patriarca ortodosso russo Alessio: «Tutta la Russia e tutto il mondo devono unirsi nella lotta contro il terrorismo. Interessi particolaristici, sia politici che economici, non impediscano un’opposizione unanime contro una minaccia comune». Avvenire riporta il parere unanime di alcuni operatori italiani di antiterrorismo: no al blitz, che si rivelerebbe comunque un bagno di sangue; sì alla soluzione negoziale.
Accadrà invece quello che tutti dicevano di voler evitare. Un bagno di sangue. Questa è la ricostruzione a caldo di Bensi: «Secondo la testimonianza di una donna che era fra gli ostaggi, le esplosioni sarebbero avvenute per caso. I banditi avevano appiccicato le loro bombe alle pareti con dello scotch. All’improvviso una si è staccata, esplodendo e provocando un "effetto domino". Di fatto, un gruppo di ostaggi, approfittando della confusione, si è precipitato all’esterno. I terroristi hanno cominciato a sparare contro di loro, i militari russi stazionati intorno all’edificio hanno risposto al fuoco. A questo punto non era più possibile seguire un piano prestabilito: le truppe hanno ricevuto l’ordine di "agire come richiesto dalle circostanze"».
Fulvio Scaglione commenta: «Dovrà molto riflettere Vladimir Putin, finito nella stessa trappola in cui cadde Boris Eltsin: l’uno e l’altro tentati dalla guerra e poi non più capaci di fermarla, di sostituirla con la politica. Questa sequela di azioni crudeli e di tragedie irreparabili lascia tutti più deboli, più lontani dagli obiettivi, più divisi e smarriti. Vittime di un culto della morte fine a se stesso».