Paolo Cannavaro, capitano della Nazionale, alza la Coppa del Mondo nella notte di Berlino
Non ci saremmo dovuti andare, a quei Mondiali dell’estate del 2006 in Germania. Lo dicevano un po’ tutti: che vergogna, meglio restare a casa. Il calcio italiano era travolto dallo scandalo di Calciopoli. Il 9 giugno, su Avvenire, anche l’inviato Alberto Caprotti scuote il capo: «Noi partecipiamo certo, ma partiamo vestiti da fantasmi: milioni di occhi addosso che ci trapassano lasciandoci nudi alla meta. Impossibile non pensarci, senza farsi travolgere dallo schizzo nostro. Una macchia che non va via. Forse hanno ragione i disfattisti, quelli che "l’Italia in Germania non ci doveva andare". Per pudore. Non sarebbe bastato ma sarebbe stato un gesto fortissimo. Ora, purtroppo, non basterà nemmeno fare una grande figura, ipotesi peraltro abbastanza remota se gli umori e i cerotti della vigilia sono segni attendibili».
Come si sbagliava. Come si sbagliavano tutti. Sarebbe bastato eccome. Ma all’inizio attorno ai ragazzi di Lippi fiducia zero. Alla fine si dirà che vinsero proprio perché sentendosi soli contro tutti – un po’ come, sia pure per altri motivi, i ragazzi di Bearzot nel 1982 – moltiplicarono le energie, supplendo con la volontà al talento. Ma poi "ragazzi"... I nostri sono dei vecchietti, gli mancherà il fiato. Il 10 giugno Caprotti (titolo: «Nessuno rispetta i nonni azzurri») prende atto: «"Siete vecchi". Lo ha scritto a chiare lettere il Financial Times in questi giorni, ricordando con tatto tipicamente britannico – si fa per dire – che la nostra, insieme alla Francia, è la Nazionale più anziana del Mondiale». Chi poteva immaginare che i vecchietti si sarebbero ritrovati in finale?
Ci sarà tempo per ricredersi. Caprotti non esita a fare pubblica ammenda. Accade il 6 luglio dopo la semifinale contro la Germania vinta 2-0 (titolo: «Sulla Nazionale faccio autocritica»): «Lo confessiamo, non le avevamo creduto. E lo avevamo scritto, consapevoli di dover raccontare la realtà come era, o almeno come onestamente ci appariva, e non come sarebbe stato bello che fosse. Non avevamo creduto che un pallone marcio potesse generare una Nazionale sana, travolti come eravamo (e come siamo) dallo sconforto di un processo che ha scoperchiato la fogna». Tutti gli italiani si sono ricreduti, ma pochi lo ammettono. E chi chiedeva con energia che non andassimo nemmeno in Germania, la notte del 9 luglio dopo la finale vinta ai rigori contro la Francia scenderà in piazza esultante. Continuando a esagerare, come denuncerà Marco Bertola: «Gli eccessi nei festeggiamenti. Urla, clacson, trombe. È finita con furti, danneggiamenti, auto incendiate, guerriglia urbana, arresti, incidenti stradali a grappoli». Italians...
Eccola la festa raccontata da Avvenire. Giovanni Grasso scrive del rientro degli azzurri in Italia ricevuti a Palazzo Chigi: «Un’ora e mezza di ritardo all’appuntamento con il capo del governo. In condizioni normali, sarebbe roba da crisi diplomatica. Da annullamento dell’incontro, con comunicato formale di protesta. Ma nulla è normale in questa giornata di delirio nazionale». Pino Ciociola racconta Roma in festa al Circo Massimo: «Un milione di persone, come attesta il sindaco Veltroni, stimandone settecentomila. Sarà retorica, sarà solo calcio, ma il brivido che ieri sera s’è aggrappato al cuore di Roma e di tutta l’Italia era vero. Un brivido di emozioni forti e allegria: "Ripiamoce la Gioconda!", "Santi subito!", "Cannavaro presidente" o "Noi al Circo Massimo, voi al massimo... al circo", si leggeva sugli striscioni».
Per una spiegazione tecnica di una vittoria tanto diversa da quella del 1982, l’11 luglio bisogna leggere Caprotti, anch’egli reduce dalla Germania: «Un Mondiale perfetto, proprio perché tirchio e povero. Un Mondiale italiano, dall’inizio alla fine. Abbiamo spremuto gol da terzini e panchinari. Bellissimi, improvvisati, proletari. Non è stata la saga dei Totti, famoso per un pollice, convalescente cronico, fantasma anche in finale. E neppure dei Del Piero, simbolo involontario del calcio in attesa di giudizio, che pure l’ha firmata in extremis questa Coppa, mettendoci del suo. Sono altre facce che ci porteremo in cartolina, normali, anche mai viste prima, barbute e oblunghe. Facce da bar di periferia». Sono le facce brutte, sporche e cattive di Gattuso e Materazzi. Anche se poi, come spiegai ironicamente, fu una vittoria «del centimetro» fatta di pali, pieni e interni, presi e subiti: «Nel ’98 perdemmo per un centimetro. Domenica per un centimetro abbiamo vinto. Non avremmo dovuto abbatterci eccessivamente otto anni fa, non dovremmo esaltarci oltre il lecito oggi. Contenti sì, ma con un pensiero devoto, ogni tanto, a quel centimetro che ha risputato il pallone di Trezeguet da questa parte della linea bianca, anziché dall’altra».
«Papà Bearzot finalmente si riposa», commenta Italo Cucci. Intanto Mastella e Berselli, politico e politologo, intervistati da Danilo Paolini e Paolo Viana, invocano l’amnistia per la Juve. Che non ci sarà.