Sergio Mattarella a Civitella Val di Chiana a colloquio con l'attrice Ottavia Piccolo e la testimone Ida Balò - ANSA
«Senza memoria, non c’è futuro», ammonisce Sergio Mattarella, «il 25 aprile è per l’Italia una ricorrenza fondante: la festa della pace, della libertà ritrovata, e del ritorno nel novero delle nazioni democratiche». Il presidente della Repubblica a Civitella in Val di Chiana, in provincia di Arezzo, per ricordare l’eccidio del 29 giugno 1944, per rappresaglia sulla popolazione inerme, oltre 200 persone, terzo nel tragico computo delle vittime nelle stragi nazifasciste. Il suo è un appello fare della Festa di Liberazione un evento plurale, unificante e irrinunciabile. Cita Aldo Moro: «Intorno all’antifascismo è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico». Nel citare questo celebre discorso di Moro a Bari, del 21 dicembre 1975, pronunciato in occasione di un incontro dell’Anpi per il Trentennale della Resistenza, è chiaro il riferimento alle recenti polemiche divisive. Non a caso aggiunge a braccio una citazione per Giacomo Matteotti, figura finita al centro dello scontro sul caso Scurati: «Il fascismo aveva in realtà, da tempo, scoperto il suo volto, svelando i suoi veri tratti brutali e disumani. Come ci ricorda il prossimo centenario del suo assassinio».
La memoria non può che partire dalle stragi, «eccidi pianificati a freddo, molti giorni prima, e furono portati a termine con l’inganno e con il tradimento della parola». Come qui, a Civitella quando, ricorda Mattarella: «Si attese, cinicamente, la festa dei Santi Pietro e Paolo per essere sicuri di poter effettuare un più numeroso rastrellamento di popolazione civile. La tragica contabilità del 29 giugno del ’44, in queste terre racconta di circa 250 persone assassinate». Vi furono più eccidi infatti, quello stesso giorno, nella zona. «Tra queste, donne, anziani, sacerdoti e oltre dieci minorenni. Il più piccolo, Gloriano Polletti, aveva solo un anno. Maria Luisa Lammioni due». Ricorda il parroco di Civitella, don Alcide Lazzeri, e quello di San Pancrazio, don Giuseppe Torelli, che «provarono a offrire la loro vita, per salvare quella del loro popolo». Proprio a don Lazzeri è intitolata la piazza dove Mattarella, prima di un lungo bagno di folla in cui ha avuto l’abbraccio corale del paese, ha deposto una corona presso il Monumento ai Caduti per poi visitare anche la lapide ai Caduti nella Chiesa di Santa Maria Assunta. Presente, oltre al vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro Andrea Migliavacca, anche l’emerito della diocesi, Riccardo Fontana che ha avviato, per don Lazzeri, la causa di canonizzazione. E l’emerito di Fiesole, Luciano Giovannetti, che in quella Messa, all’arrivo dei tedeschi, faceva il chierichetto a don Lazzeri, riuscendo a scampare mentre il parroco fu fra i trucidati.
Nutrito il parterre politico, oltre alle istituzioni locali presenti al gran completo, ci sono,fra gli altri, Simona Bonafè del Pd, Maria Elena Boschi di Italia viva, Mariolina Castellone del M5s, l’ex ministra Rosy Bindi, il governo è rappresentato dal ministro della Difesa Guido Crosetto che rende omaggio anche lui i luoghi simbolo della strage.
Ma sono ancora tanti anche i testimoni, rappresentati da Ida Balò, 94enne presidente dell’Associazione “Civitella ricorda”, vera e propria custode della memoria della strage, il suo intervento commuove tutti, anche Mattarella che poi la cita e la ringrazia.
La Resistenza, insiste su un concetto a lui caro, il capo dello Stato, fu un fenomeno di popolo, «un movimento che, nella sua pluralità di persone, motivazioni, provenienze e spinte ideali, per instaurare una nuova convivenza, fondata sul diritto e sulla pace».
Ma è sbagliato limitare la critica al fascismo solo in riferimento alla fase finale, le leggi razziali e l’ingresso in guerra non giunsero all’improvviso: «Generazioni di giovani italiani, educati, fin da bambini, al culto infausto della guerra e dell’obbedienza cieca e assoluta, erano stati mandati, in nome di una pretesa superiorità nazionale, ad aggredire con le armi nazioni vicine: le “patrie degli altri” come le chiamava don Lorenzo Milani».
Poi venne la Resistenza, «l’8 settembre, con i vertici del Regno in fuga, fece precipitare il Paese nello sconforto e nel caos assoluto. Ma molti italiani non si piegarono al disonore. Scelsero la via del riscatto. Un riscatto morale, prima ancora che politico, che recuperava i valori occultati e calpestati dalla dittatura. La libertà, al posto dell’imposizione. La fraternità, al posto dell’odio razzista. La democrazia, al posto della sopraffazione. L’umanità, al posto della brutalità. La giustizia, al posto dell’arbitrio. La speranza, al posto della paura».
Un movimento composito, insiste Mattarella citando padre David Maria Turoldo: «Tra i morti della Resistenza vi erano seguaci di tutte le fedi. Ognuno aveva il suo Dio, ognuno aveva il suo credo, e parlavano lingue diverse, e avevano pelle di diverso colore, eppure nella libertà e nella dignità umana si sentivano fratelli». Ci furono «reduci dalla guerra e giovani appassionati, contadini e intellettuali, monarchici e repubblicani, si unirono per lottare, con le armi, contro l’oppressore e l’invasore. Tra di loro uomini, donne, ragazzi, di ogni provenienza, di ogni età» Ricorda anche «l’eroica Resistenza dei circa 600 mila militari che, dopo l’8 settembre, rifiutarono di servire la Repubblica di Salò» e i 50mila deportati «nei campi di detenzione in Germania».
Ci fu poi «la Resistenza civile, la Resistenza senza armi, un movimento largo e diffuso, che vide anche la rinascita del protagonismo delle donne, sottratte finalmente al ruolo subalterno cui le destinava l’ideologia fascista». Cita Claudio Pavone: «Essere pietosi verso altri esseri umani era di per sé una manifestazione di antifascismo e di resistenza, quale che ne fosse l’ispirazione, laica o religiosa. Il fascismo aveva insita la ideologia della violenza, la pietà non era prevista…».
Ma anche l’imbracciare le armi di tanti non fu un rispondere all’odio con uguale moneta: «A differenza dei loro nemici, imbevuti del culto macabro della morte e della guerra, i patrioti della Resistenza fecero uso delle armi perché un giorno queste tacessero e il mondo fosse finalmente contrassegnato dalla pace, dalla libertà, dalla giustizia. Oggi, in un tempo di grande preoccupazione, segnato, in Europa e ai suoi confini, da aggressioni, guerre e violenze, confidiamo costantemente e convintamente in quella speranza».