San Basilio, periferia Nord-Est della Capitale. Ventiseimila persone e un altro welfare. 'Drogato' da ondate di reddito di cittadinanza e da una piazza di spaccio che non va mai a dormire. È notte. Percorriamo strade senza luci. A piazza Aldo Bozzi la luce c’è. Don Antonio Coluccia è sempre lì. Con il suo megafono. A gridare «basta spaccio ». A reclamare legalità. «Perché Roma non può avere zone franche. Perché la periferia non può essere abbandonata al suo destino...». I ragazzi della scorta ascoltano in silenzio. «Non posso accettare lebbrosari nella città. Non possiamo voltarci dall’altra parte davanti a spaccio, usura, azzardo, prostituzione. La rinascita di Roma passa anche attraverso la vittoria sulle mafie».
Un autobus passa. L’autista saluta il sacerdote. «In un anno qui è cambiato molto. Qualche strada ora è illuminata, i giardini sono più curati... Se la gente vede che lo Stato c’è ritrova fiducia. E chi si candida a guidare la città deve aver il coraggio di mettere in testa alle sue priorità l’antimafia sociale ». Don Antonio racconta Roma con due parole: «Bella e contraddittoria. C’è storia, c’è arte, c’è cultura, ma ci sono tante ombre da diradare». Le ombre nelle periferie sono più fitte, più inquietanti. Qui i problemi della Capitale diventano emergenze. I trasporti, l’ambiente, il disagio giovanile, l’immigrazione, i campi rom, i rifiuti, la legalità e la sicurezza, la casa. È su questi temi che, da sempre, si vince e si perde. Sarà così anche il 3 e il 4 ottobre. Un milione di romani vive e vota fuori dal perimetro del Grande raccordo. Municipi grandi come città. Distanti anche venti chilometri dal Campidoglio. Tiburtino, Tuscolano, Tor Bella Monaca, Ostia... Zone complicate.
Il Covid ha ingigantito il fossato delle disuguaglianze. Qui la gente non si fida più della politica. Ma la politica vuole quei voti. E forse non è un caso se, una manciata di notti fa, anche Roberto Gualtieri è arrivato a San Basilio. Anche lui ha percorso con don Antonio le vie dello spaccio. San Basilio è da tempo 'terra' di Virginia Raggi. Ma ora sulle periferie si concentra l’attenzione di tutti. «Qui servono subito atti concreti», sbotta Simonetta Matone capolista della Lega, magistrata e candidata prosindaco. E indica tre obiettivi: «Serve un nuovo piano di edilizia popolare, serve ristrutturare le scuole e adeguarle con le ultime tecnologie, servono centri sportivi e luoghi di aggregazione per gli anziani ». Alessandro Onorato, il coordinatore della lista civica di Gualtieri, continua in quel solco: «In periferia si muore per mancanza di progetti. Useremo gli stabili abbandonati per fare case della cultura e case delle start-up. Un musicista avrà la sua sala prova e un imprenditore una scrivania e una linea internet.
La sfida è chiara: i nostri talenti devono avere la possibilità di esprimersi». Siamo a due settimane dal primo verdetto (il ballottaggio, essendo 4 i candidati con posizioni 'forti', è scontato) e i giochi sono aperti. Sono i temi concreti a prendersi la scena. La guerra alla burocrazia, l’innovazione, la digitalizzazione. Temi su cui lavorare per trasformare Roma in una capitale europea. Poi c’è la grande emergenza demografica. Da una periferia a un’altra. Da San Basilio a Tor Sapienza. «250mila elettori in meno. Dalle amministrative 2016 alle ammini-strative 2021. Roma si sta spopolando. Non ci si sposa più. Non nascono più bambini...». Sono settimane che Mario Adinolfi, romano (anzi, testaccino) e presidente del Popolo della Famiglia, gira la Capitale. Giorni che interroga le periferie. «Roma muore e nessuno si chiede perché. Nessuno riflette su questi numeri. Nessuno immagina una soluzione», ripete Adinolfi davanti a un gazebo con una foto di Fabiola Cenciotti, il 'suo' candidato sindaco. «Ecco la nostra proposta, anzi ecco la nostra sfida. La sintetizzo in uno slogan: Più figli, meno tasse..
E dunque azzeramento delle addizionali comunali alle famiglie monoreddito con figli, bonus nascita di 2.500 euro con cui Roma celebrerà ogni nuovo nato, reddito di maternità per le mamme». Sulla via Cristoforo Colombo compare la sagoma del grande edificio a vetri sede della Regione Lazio. Gigi De Palo vive a due passi da qui. Anche lui, il presidente del Forum delle famiglie, conosce Roma. È stato assessore e ha portato nella capitale un’idea di quoziente familiare. «Ora abbiamo bisogno di qualcuno che sappia rompere una serie di ingranaggi che rallentano la nostra città. Penso a un sindaco nemico della burocrazia e al servizio delle famiglie. Che non sia schiavo del consenso e sia capace di seminare. Di costruire un progetto. Anche di far arrabbiare i romani ». De Palo indica un preciso obiettivo. «Tre anni di semina e due di raccolta. Ecco cosa vorrei. Un sindaco che porti Roma nel futuro. Che non abbia paura di osare. Che sappia dire no a chi si è accomodato su una serie di diritti acquisiti. In quattro parole: vogliamo un sindaco coraggioso». Essere coraggioso per Franco Ciuti, scultore, vuole dire scommettere sull’arte. Lui passa mattine e pomeriggio nel suo studio zona Garbatella e da lì 'chiama' il Campidoglio.
«La Capitale è come sfiorita. Servono idee. Penso a una scuola di scultura totalmente gratuita. Per legare l’amore per l’arte all’amore per Roma». Roma fatica in ogni campo. Roma perde posizioni nelle classifiche. La qualità del trasporto non convince. L’età media dei bus romani è in costante aumento: dai 6,4 anni nel 2006 è passata ai 12,6 anni nel 2017. Le piste ciclabili non sono quelle di Milano. La raccolta differenziata è sopra al 45%: Raggi puntava al 70% entro il 2021. C’è tanto da fare. Tanto da costruire. Magari partendo dalle periferie. Da dove 18 mesi di Covid hanno reso la vita ancora più complicata.