“L’occhio mongolfiera” è disegno a carboncino di Odilon Redon, molto impressionante a cominciare dall’immagine raffigurata. Perturbante, onirico, un bulbo oculare con lunghe ciglia e legato a funi provviste di tanto di cestello si libra in volo verso nuvole all’orizzonte. Forti le suggestioni letterarie: il disegno è parte di una serie dedicata a Poe, ispiratore per Redon di atmosfere inquietantemente tese verso quanto accade invisibile, inavvertito. La potenza spiazzante in specie sta nel “monocolo”, quell’occhio/simbolo dell’intero atto del vedere, capace nella sua singolarità di penetrare altezze nascoste. L’occhio, sorta di ossessione, torna in un dipinto successivo di Redon, questo a colori, dal titolo “Il ciclope”. Vigile e spalancato al centro della fronte, l’occhio di un mostro buono che sbuca da dietro una collina fiorita. La bella ninfa Galatea giace nuda poco più in là, in un anfratto della roccia, ma il monocolo del ciclope non guarda a lei, piuttosto a noi che lo guardiamo. Mite quell’occhio, e timido, e incantato: sguardo in cui par di vedere ognuna di quelle cose che esso stesso invita a osservare con calma, e pace. Attenzione alla deformità, a una diversità da considerare con la stessa generosa accoglienza con cui il monocolo sprona ad accogliere, e così a vedere.
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