Nella Giornata del migrante e del rifugiato è difficile non ripensare alla mancata approvazione della legge impropriamente chiamata dello Ius soli: una pagina nera che resterà nella coscienza di molti. Sappiamo bene che non si trattava di concedere la cittadinanza agli immigrati, bisognava solo regolarizzare la posizione di tanti bambini e ragazzi i quali di fatto italiani già sono, tuttavia i ritardi, le polemiche, le speculazioni elettorali hanno trasformato il dibattito pubblico mostrando che la questione specifica era soltanto una scusa. In gioco, ancora una volta, sono tornati i vecchi fantasmi: la paura del confronto, il premuroso ritrarsi di fronte al volto dell'altro, l'insicurezza diffusa, la fragilità identitaria che spinge a erigere steccati. Forse non possiamo pretendere dalla classe politica il coraggio di sfidare il consenso, anche se dobbiamo ammettere che il vero statista è quello capace di affermare un principio in cui crede, non colui pronto a mettere in conto la possibilità di rinnegarlo. Abbiamo invece il dovere di chiedere a noi stessi la disponibilità a compiere il lavoro umano necessario, in Italia e in Europa, per sottrarci al cinismo, all'indifferenza e all'ipocrisia. Saranno proprio loro, i rifugiati, i profughi, i forestieri, ad aiutarci a farlo.