La doppia ignoranza di Salvini. Giù le mani dai Papi
Responsabilità di un politico è certamente anche quella di parlar chiaro, ma ancora più importante e addirittura decisiva per la sua credibilità è la responsabilità che lo porta ad avere almeno un’idea minimamente chiara delle questioni che affronta. Non si può dire che Matteo Salvini non parli chiaro, ma non si può nemmeno dire che sappia sempre quel che dice. Anzi, qualche volta è del tutto evidente che non sa proprio di che cosa parla, ma lo fa lo stesso.
E gli esiti sono disastrosi per lui. Domenica ne abbiamo avuta un’altra prova in occasione del tradizionale raduno leghista di Pontida dove ha pensato bene di mettere mani e parole addosso al Papa, anzi a due Papi. Perché il segretario del Carroccio non si è limitato a straparlare contro papa Francesco, ma ha pensato – assieme ad alcuni dei suoi – di potersi permettere di "usare" maldestramente il papa emerito Benedetto XVI.
Non saremo certo noi a stupirci per le dosi di anticristianesimo (nelle sue diverse varianti dal bolso anticlericalismo al più cinico antisolidarismo) di cui fanno ciclicamente sfoggio certi capipartito (non solo) italiani: non ci rassegniamo, ma in qualche modo ci abbiamo fatto il callo. Tuttavia la pretesa di giocare "politicamente" con i Papi, mettendoli propagandisticamente gli uni contro gli altri e facendo addirittura la caricatura del loro magistero non può lasciare indifferenti e impedisce di lasciar correre. E non si può lasciar correre il fatto che domenica, a Pontida, Salvini ha fatto eco a uno slogan ambiguo – e perciò increscioso – di un gruppo di giovani militanti (o, forse, ha semplicemente rivelato di averlo ispirato). «Il mio Papa è Benedetto» è lo slogan. E la spiegazione è tanto secca quanto becera: «Papa Ratzinger sull’islam aveva idee chiare. Chi invece apre le chiese agli imam non mi piace».
Doppia ignoranza e doppia mistificazione. La solita di chi, senza averlo mai letto e magari basandosi su alcune artate manipolazioni, continua a citare il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona come una sorta di dichiarazione di guerra all’islam, mentre si tratta di una mirabile e implacabile riflessione contro ogni "guerra santa", sull’alleanza tra fede e ragione e sull’urgenza del «dialogo tra culture e religioni». Ma anche la solita di chi tiene da matti a strillare il suo «non mi piace» all’indirizzo di papa Francesco che si ostina a predicare il Vangelo e a ricordare che Cristo ci ha insegnato a riconoscerLo nel povero, nell’ammalato e nello straniero. E che si spende per far capire a credenti e non credenti che l’incontro tra gli uomini di pace e di buona volontà è l’unico mezzo per sgominare coloro che osano mettere Dio sulle lame dei loro coltelli da tagliagole o dei loro spadoni da xenofobi e per "convertire" una politica e un’economia che accendono e alimentano le guerre e non le fanno mai finire.
Quasi sempre le mediocri presunzioni appena descritte, e i tic polemici che le accompagnano, finiscono per coincidere. Al segretario leghista sono bastate quattro parole per gridarlo ai quattro venti. Doppia mistificazione più doppia ignoranza uguale parole doppiamente insopportabili e screditanti per chi le pronuncia.
Provi a ragionarci su, Salvini. Magari gli riesce aiutato anche solo dall’eco – se è in grado di intenderlo – di ciò che in queste ore sta accadendo, ancora una volta, ad Assisi. Nella città dove l’azione dei Papi – Giovanni Paolo, Benedetto, Francesco – e la buona fede di tanti sta rinnovando e facendo crescere le preghiere sorelle e la riflessione comune per la pace. Se invece vuol proprio ritornare all’epoca degli attacchi leghisti a san Giovanni Paolo II, portati nel pieno delle infatuazioni paganeggianti e degli pseudo riti celtico-padani, la strada è esattamente questa. Ma non s’illuda che lo porterà lontano. E, comunque, la faccia finita di mettersi addosso i Papi e di mettere loro mani e parole addosso. Non si va così in paradiso. Neppure nel paradiso degli ignoranti, e tantomeno in quello – solo elettorale – dei politici.