Opinioni

Il magistero di papa Francesco. Dare un'anima al «sociale»

Francesco D’Agostino domenica 29 agosto 2021

Tanti ascoltano ciò che papa Francesco continua a testimoniare, e lo fanno con attenzione vera e una gratitudine resa più forte dalla profondità coinvolgente, sebbene spesso scomoda, di ciò che dice. Eppure anche nella comunità credente ci sono voci, alcune con più garbo altre con più veemenza, che criticano il Papa per i continui interventi di carattere 'sociale': sulle povertà, sulle «inequità» e sulle disuguaglianze, sul Covid e sulle vaccinazioni, sulle immigrazioni, sulla solidarietà. E insistono nel rilevare che simili interventi, assolutamente giustificati in sé e per sé, starebbero benissimo sulla bocca di qualunque personalità internazionale (capi di Stato, alti rappresentanti dell’Onu, dell’Unione Europea o di diverse Ong) , ma non se ne percepisce il carattere propriamente ' cattolico '.

Un’omelia su Cristo riassumerebbe tutti i temi sociali e darebbe maggior conforto ai credenti. Ci possono essere anche limpidi intendimenti in queste osservazioni e nel loro preteso realismo, non si può non avvertire, però, che nel loro 'bacchettare' il Papa, esse appaiono fredde o addirittura raggelanti. Quale dovrebbe essere, ancora oggi, la missione della Chiesa nel mondo? Evangelizzare? Certo, ogni credente dovrebbe sentire nel suo cuore l’impegno di portare la fede in Cristo ai suoi fratelli. La prima Esortazione apostolica di papa Francesco, Evangelii gaudium (2013), e la sua terza Enciclica, Fratelli tutti (2020) sono imperniate su questo cardine.

I continui interventi del Papa sul 'sociale' consistono in buona sostanza nel far capire a chi lo ascolta che non basta nutrire buoni sentimenti fraterni, anche se è doveroso farlo, ma bisogna dar loro 'strutture di azione ', cosa molto difficile, ma imprescindibile. Il problema, naturalmente, non è dunque quello di insegnare al Papa come dar sostanza al suo Magistero: egli sa benissimo come farlo e lo fa già in modo davvero eccellente. Il problema, nel contesto di una società complessa come quella attuale, sta nell’intreccio, terribile solo a descriversi, di dinamiche sociali e di dinamiche spirituali. Quella che chiamiamo tutti 'secolarizzazione' non consiste, propriamente, nel dilagare dell’agnosticismo e dell’ateismo, o nell’anticlericalismo (diffusi sì, ma meno di quanto si creda), bensì nel non avvertire più, come si dovrebbe, che l’operare per il sociale costituisce parte essenziale della fede cristiana e nostra 'identità umana' e che questo operare non può essere ridotto a pratiche formalmente funzionali. In ogni intervento del Papa nel quale emergono temi sociali questa dimensione è chiarissima.

Viceversa in ogni intervento di qualsivoglia autorità pubblica, anche delle più ammirevoli, resta inevitabilmente l’impressione di parole 'scritte a tavolino ', anche se magari con le migliori intenzioni. Questa è, in definitiva, la questione centrale del nostro tempo, come raccordare il cuore e la mente e come dare un’anima agli interventi sociali di cui il mondo di oggi ha estremo bisogno (interventi umanitari, economici, finalizzati a ripristinare in tante parti della Terra un ordine pubblico lacerato, spesso in modo cruento, come accade di nuovo e drammaticamente in Afghanistan). Papa Francesco riesce a farcelo capire; altre autorità mondiali o nazionali, con tutto il rispetto che alcuni meritano, no. Su questo punto siamo chiamati a riflettere, indipendentemente dalla nostra fede, dal modo di viverla o di cercarla, e dalle nostre personali opzioni ideologiche.