Il caso dei bambini contesi. Figli "rapiti" dai genitori. «E l'Italia sta a guardare»
Lo scorso anno ha tenuto banco il caso Eitan, il piccolo sopravvissuto alla tragedia del Mottarone conteso dalla famiglia materna e da quella paterna. Ma non c’è solo lui. Sono circa 300 i casi di minori contesi trattati ogni anno dalla Direzione generale per gli italiani all'estero della Farnesina, anche se secondo gli esperti che si occupano del problema, il numero va moltiplicato almeno per tre, visto che per ammissione delle nostre autorità solo una minoranza di casi finisce sotto la lente del ministero. La maggior parte viene trattata sulla base di richieste dei giudici locali e l'esito è spesso sfavorevole per la parte italiana, anche a causa di letture controverse della Convenzione dell'Aja, il documento che risale al 1980 e che dovrebbe regolare queste controversie. Ma l'applicazione è tutt'altro che semplice. Anche avvocati e giudici finiscono spesso per complicare situazioni che andrebbero trattate con un approccio diverso e che, alla fine, si trasformano in autentici boomerang per il genitore vittima della sottrazione. I ritardi della nostra giustizia, sommati all'assenza di un secondo grado di giudizio e all'immediata esecutività del decreto di rimpatrio in primo grado, sono tali per cui l'ordinamento italiano finisce nei fatti per penalizzare i propri cittadini, cosa che non accade negli ordinamenti di altre nazioni.
La protesta di un gruppo di genitori nel giugno scorso a Roma - .
Trecento o tremila? Nessuno riesce a stabilirlo. Così il dramma dei bambini sottratti e portati all’estero da uno dei due genitori si allarga. Dopo i nuovi casi di cui ci siamo occupati nei giorni scorsi (vedi box a centro pagina), cerchiamo di approfondire il tema con Marinella Colombo, esperta di diritto di famiglia internazionale e lei stessa vittima di una vicenda di sottrazione di cui si è parlato a lungo.
Bambini figli di “coppie miste” portati all’estero dopo la disgregazione della famiglia. Per il genitore italiano significa quasi sempre perdere ogni contatto con i propri figli.
L’allontanamento con il cambio del luogo di residenza può sempre costituire un problema, anche se il trasferimento avviene all’interno dello Stato italiano. Il problema con l’estero consiste nel fatto che, oltre alla lontananza fisica, ci si trova inoltre di fronte a sistemi giuridici differenti che, con il trasloco, diventano gli unici competenti sui bambini. Tali sistemi sono differenti perché il concetto di famiglia e di “bene del bambino” sono culturalmente diversi in Paesi che hanno appunto una cultura differente. Sbagliato è volerci far credere che non ci siano differenze e che i tribunali siano in grado di tutelare i bambini.
Secondo i dati della Direzione generale per gli italiani all’estero presso il ministero degli Esteri sarebbero circa 300 ogni anno i casi di cui si ha conoscenza. Lei ha più volte detto che in realtà potrebbero essere tre volte tanto perché solo una minima parte finisce nel conteggio del ministero. E che, soprattutto, non sappiamo quanti vengono risolti. È davvero così?
Il numero dei bambini binazionali orfani di un genitore vivente è certamente in aumento, sia perché l’Italia è diventata un Paese di immigrazione, ma anche perché la situazione economica e i nostri stessi media spingono i giovani italiani a spostarsi all’estero. Non si può quantificare il fenomeno né dei bambini portati all’estero, né dei bambini italiani nati all’estero che perdono il genitore italiano, semplicemente perché non esistono tali statistiche. I genitori italiani vittime di sottrazioni, così come i ragazzi italiani che si sono trasferiti all’estero e dopo essere diventati genitori hanno perso senza un valido motivo ogni contatto con i figli vengono semplicemente lasciati soli. Spesso anche la propria famiglia in Italia prende le distanze e non crede che si possa essere privati di un diritto fondamentale senza aver commesso nulla. Questo aggiunge disperazione alla disperazione.
Perché la legislazione italiana non permette interventi più tempestivi e più mirati?
Sarò franca, perché la politica italiana non lo vuole. Per timore di incrinare i rapporti diplomatici o di perdere commesse e vantaggi economici preferisce non fare nulla.
La Convenzione dell’Aja è ancora un accordo internazionale efficace e sarebbero opportune delle modifiche?
È praticamente impossibile apportare modifiche ad una Convenzione già firmata dalla maggioranza dei Paesi del mondo. Chi propone modifiche alla Convenzione sta indicando uno specchietto per le allodole. Qualcos’altro è invece possibile e sarebbe di grande aiuto: le Convenzioni devono essere ratificate con legge nazionale, la ratifica fatta dall’Italia è ben diversa da quella per esempio della Germania. Va cambiata, perché mentre ogni Paese tutela il proprio connazionale, ancora oggi l’Italia tutela il genitore straniero. Anni fa ho scritto un libro su questo tema, “La tutela oltre la frontiera. Bambini bilingue senza voce – Bambini binazionali senza diritti”, mettendo a confronto nel dettaglio le due leggi di ratifica (https://www.bonfirraroeditore. it/prodotto/la-tutela-oltre-lafrontiera/, si trova anche online sulle principali piattaforme). Un primo importante passo, sarebbe dunque modificare la legge di ratifica del 15 gennaio 1994 n. 64 con cui il nostro Paese ha recepito questa Convenzione. Anche in questo caso ho preparato, insieme agli avvocati con cui collaboro, una proposta dettagliata di modifica. Alcuni deputati di partiti diversi avevano espresso interesse, ma non si è mai riusciti a calendarizzarla.
Lei che si confronta con questo problema da tanti anni ritiene che la sensibilità verso questo problema sia cresciuta o tutto rimane come prima?
Purtroppo, fino a quando l’opinione pubblica non verrà correttamente informata e la politica non deciderà di cambiare atteggiamento, la sensibilità che pur è decisamente presente negli italiani, non può emergere in mancanza di informazione. Si parla solo ogni tanto di sottrazioni e quando se ne parla, si presenta una vicenda personale tralasciando o ignorando completamente le storture che sono alla base. Quando il bambino è all’estero la prima domanda è sempre “riesce a vederlo? Quando gli ha parlato l’ultima volta?” Come se parlare una volta ogni tanto con il proprio figlio, magari di soli 4 o 5 anni, significasse fare il padre o la madre.
Quali sono gli Stati esteri con cui è più difficile confrontarsi? Qualcuno indica come particolarmente impenetrabile il mondo arabo. È d’accordo?
Non sono d’accordo. Se il mondo arabo può apparire impenetrabile è però vero che è più che noto che il diritto di famiglia dei paesi arabi è diverso dal nostro. Alcuni Paesi arabi non hanno neppure ratificato la convenzione dell’Aja del 1980 sulla sottrazione internazionale di minori. È dunque con conoscenza di causa che si affronta una tale unione e, se purtroppo si arriva ad una separazione, i rischi sono noti e unanimemente riconosciuti. La solidarietà e il sostegno non verranno comunque negati a chi è, senza dubbio e per tutti, una vittima. Diversa è la condizione di chi si trova a separarsi da un cittadino tedesco. Quanto racconta la propria vicenda non viene creduto. Da nessuno. La Germania è in Europa, oltre alla Convenzione ha firmato anche i regolamenti europei in materia, ci dicono. Nessuno crede che il diritto di famiglia tedesco sia diverso dal nostro. Nessuno immagina che un padre non sposato, pur avendo riconosciuto e dato il suo cognome al figlio, non ha nessun diritto sul bambino a meno che la madre non voglia concederglielo. Nessuno crede che i giudici tedeschi vietino i contatti (vietate anche le telefonate e i biglietti di auguri!) ad un genitore non tedesco solo perché il genitore tedesco afferma, senza dover provare nulla, che i figli non desiderano più vederlo/la. Profondamente colpevole è dunque chi ordina un rimpatrio o legalizza un trasferimento. Ogni giudice italiano che manda un bambino a vivere in Germania (a seguito di una richiesta di rimpatrio o perché il genitore tedesco, di solito la madre, dichiara di voler rientrare nel suo Paese) dovrebbe sapere che è responsabile della perdita da parte del bambino del genitore italiano, di tutta la famiglia, della lingua e della cultura italiana. Sembra un’accusa, ma è un appello alla pesante responsabilità di cui un giudice, scegliendo tale professione, si fa carico. Troppe vite sono state e continuano ad essere rovinate da chi è invece chiamato a tutelarle.