Fattorini da tutelare. La pizza a casa? Prima i diritti
L’indagine a tutto tondo aperta dalla Procura di Milano sui rider che consegnano cibo a domicilio ha riacceso un faro sul fenomeno dei ciclofattorini che lavorano con l’utilizzo di piattaforme elettroniche e sono privi di tutele minime. Sfrecciano nelle vie delle nostre città per portarci la pizza a casa ma hanno paghe bassissime. Privi di assicurazione, vengono 'chiamati' secondo un ranking stabilito da un algoritmo. E non mancano casi di caporalato. Di fronte a questa situazione, un editoriale di 'Avvenire', firmato da Francesco Riccardi, ha suggerito ai consumatori di rinunciare a tali servizi fintanto che non siano garantiti i diritti dei lavoratori. Un appello cui hanno già aderito in molti.
LA GIORNALISTA
Falcetti: è colpa anche di noi consumatori
Emanuela Falcetti, giornalista, conduttrice di Italia sotto inchiesta (in onda dal lunedì al venerdì dalle ore 18 su Rai Radio1), cosa ne pensa di quello che sta succedendo con i rider sfruttati, sottopagati, senza tutele ed esposti ogni giorno ai pericoli della strada?
Mi impressionano i ritardi, i riflessi ritardati dello Stato, e del Paese, di fronte a fenomeni sociali come questo. Uno Stato che promette e non mantiene, promette e non mantiene...
Ma c’entriamo anche noi consumatori...
Dovremmo metterci in gioco tutti. Tutti “sotto inchiesta”, me compresa: quante volte di fronte a questi postini metropolitani del cibo – soprattutto ragazzi, ma ci sono anche cinquantenni che fanno questo lavoro per disperazione – non ci siamo preoccupati di loro, non abbiamo pensato di quanto sia rischioso correre di notte e la mattina presto in bicicletta in mezzo al traffico delle città. Ce ne siamo sempre fregati perché telefonando o usando la app del cellulare per ordinare la cena, nella nostra testa c’era soltanto la pizza calda da gustare nella comodità della nostra casa. Ma cosa c’è dietro al pasto che ci portano i rider? Ce lo siamo mai chiesto, non solo in salotto ma anche nella nostra testa, in piena coscienza? Un grosso rischio della vita, per pochi soldi e senza sicurezze. Facciamoci una domanda: e se sul sellino di quella bicicletta in mano ai “caporali” ci fosse nostro figlio? Avremmo detto, ne sono certa, “meno pizza calda e più sicurezza, più tutela anche per questi lavoratori”.
Ma allora cosa possiamo fare, seguendo la nostra coscienza?
Dobbiamo svolgere tutti, e fino in fondo, la nostra parte. Noi giornalisti, chi deve fare le leggi e chi ha il compito di farle rispettare. Insomma, siamo noi che dobbiamo pedalare...
Ma quale sarà il suo contributo?
Darò spazio nella mia trasmissione ai diritti di chi lavora.
È favorevole a uno sciopero delle App, come proposto da Avvenire? Cioè a una astensione dall’uso di servizi che utilizzano piattaforme elettroniche per ordinare cibo a domicilio?
Sì, sono d’accordo. Ho visto le immagini postate sul web di un ragazzo che portava cibo in bicicletta ed è stato investito da una macchina: si è rialzato subito, ha rimesso a posto lo zainetto, è ripartito ed è stato di nuovo travolto..... È tragico ma rende l’idea di come sono messi questi giovani, della loro disperazione. Sì. Lo sciopero lo faccio. Vuol dire che digiunerò, anche se al posto del cuore ho... una pizza margherita. (Fulvio Fulvi)
LO SCRITTORE
Veronesi: il servizio a domicilio è utile ma va ben pagato
Ha scritto un saggio, Cani d’estate, in cui racconta il “caso Diciotti”, l’intervento della Chiesa per sbloccarlo e la recrudescenza del razzismo in Europa. Sandro Veronesi è tra i romanzieri italiani più attenti alle problematiche sociali.
I rider che rischiano la vita per la strada e i migranti che muoiono nel Mediterraneo. I primi “sequestrati da un ministro”, gli altri dalle multinazionali del food delivery. C’è un’analogia, un filo che li lega?
Tra i lavoratori precari che consegnano il cibo a domicilio, automi schiavizzati, ci sono molti migranti arrivati con i barconi e scampati al naufragio. È clamoroso: per mangiare portano da mangiare... Anche qui c’è qualcosa di misterioso. Perché si permettono enormi ricavi ai giganti del settore, ristoranti compresi, e i rider vengono sfruttati e pagati così poco? Il lavoro non conta più niente. Se farsi portare a casa la pizza, il sushi o l’hamburger è un lusso, perché deve costare di meno? La differenza la pagano i lavoratori. E tutto questo fa pensare. È l’ennesima dimostrazione di quello che succede nel nostro Paese.
Ma qualcosa si sta muovendo, è stata aperta un’inchiesta della magistratura sui ciclofattorini impiegati dalle piattaforme elettroniche...
E perché non è stata fatta prima? Magari si potevano evitare incidenti e morti...
Cosa bisognerebbe fare, secondo lei, come società civile?
La consegna a domicilio è utile (anche quella che fa Amazon). Ma il servizio va pagato. Invece non è così: nel conto finale manca la voce “lavoro”. C’è chi lucra e non paga come dovrebbe chi porta la merce a destinazione. Lo Stato dovrebbe attivare un meccanismo di incentivi e disincentivi e dire: “a chi usa così il lavoro metto più tasse”.
Ritiene utile lo “sciopero a tavola per i rider” proposto dal nostro giornale?
Evitare di ricorrere a questo modo di ordinare il cibo potrebbe portare a una crisi del sistema. Basterebbe che la metà smettesse di chiamare e ci sarebbe già un effetto. Certo i ragazzi perderebbero il lavoro ma dovrebbero essere protetti dal sindacato. Quindi, sciopero sì. Ma i sindacati trovassero il modo di occuparsene. Landini è d’accordo?
E lei personalmente che farà?
Continuerò a rivolgermi ai ristoranti che conosco i quali hanno personale che risponde direttamente ai proprietari e non alle piattaforme. Comunque siamo di fronte a una cessione della nostra cultura alimentare. Ecco il punto.
Ovvero? Si spieghi.
Siamo in piena “americanizzazione” del cibo. Siamo entrati in una storia che non ci appartiene. Si mangia freddo e male... non è da noi. (Fulvio Fulvi)
IL PRESIDENTE DI MCL
Costalli: non svendiamo i nostri valori
«Siamo fan di Marco Biagi, ma la flessibilità è una cosa seria, mica sfruttare i rider. Ottima idea, quella di scioperare per protestare contro il loro sfruttamento». Carlo Costalli, presidente del Movimento Cristiano Lavoratori, ammette di aver usato qualche volta questi servizi di consegna – «per comodità, ma dobbiamo star attenti a non svendere i nostri valori, il nostro umanesimo» – e aderisce alla protesta di Avvenire.
«Sembra che il sistema economico sia diventato completamente sordo e che non si possa farsi sentire se non attraverso il boicottaggio, che pure non appartiene alla tradizione dei riformisti» dichiara il presidente del Mcl. Il quale, già nel 2009 aveva promosso, con Cisl, Confcooperative, Cdo, Confartigianato e Acli, il Forum delle persone e delle associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro proprio con l’obiettivo di «influenzare e orientare il processo riformatore di cui l’Italia ha tanto bisogno e rilanciare la partecipazione politica rimettendo al centro del dibattito politico il rapporto tra lavoro e persona che in quest’organizzazione delle consegne si è smarrito».
Costalli non si fa illusioni: «Come in un altro caso, e cioè la campagna per la domenica di festa che ci ha visti impegnati contro le aperture domenicali dei supermercati, non sarà facile ottenere un ripensamento organizzativo ma vale la pena di operare una pressione morale sull’economia perché ritrovi la propria anima». I rider, osserva, non sono unanimemente convinti di essere sfruttati: «Come agli albori del sindacalismo, bisogna lavorare sulla consapevolezza del lavoratore del proprio lavoro. Tuttavia, combattere le consegne low cost non è una battaglia contro i lavoratori ma per i lavoratori, come peraltro Francesco Riccardi ha ben argomentato nel presentare l’iniziativa». Secondo Costalli, «questo è un terreno di lavoro della Dottrina sociale e del terzo settore: dobbiamo confrontarci sul modello di distribuzione che vogliamo perché da esso dipende anche il tipo di società in cui ci troveremo a vivere». (Paolo Viana)
LA GIORNALISTA
Perina: innovare non significa sfruttare gli altri
Giornalista, editorialista, scrittrice, ex deputata e attivissima su Facebook con alcune rubriche molto seguite, tra le quali "Post-lavoro", la romana Flavia Perina utilizza i servizi dei rider?
No, mai. Se resto a casa e ho fame, cucino. Se voglio mangiare qualcosa di particolare, esco e vado al ristorante.
Ma avrà visto le condizioni in cui lavorano...
Vicino a casa mia c’è un fast food e ogni giorno vedo la fila di motorini in attesa del cibo da consegnare. Tra loro osservo tantissimi uomini e donne di 40 e 50 anni. Mi ha fatto riflettere: dunque, non è solo un lavoretto per ragazzini che studiano, o tra un interinale e l’altro. Sono persone adulte, che vogliono stare nella legalità, e che nelle consegne a domicilio vedono l’unica possibilità per arrotondare le proprie entrate.
Nella legalità? Non si direbbe.
L’ho scritto qualche giorno fa nella mia rubrica Post-lavoro su Facebook: in California da gennaio i "lavorettisti" di Uber ed equivalenti dovranno essere registrati come dipendenti, quindi: salario minimo, mutua, sussidio di disoccupazione. I fan della Gig-economy (l’economia dei lavoretti, o il lavoro gestito da app, ndr) ne saranno contrariati, ma si è deciso che non c’è niente di innovativo nel sottopagare le persone. Ecco, credo che in Italia una garbata pressione come quella che sta esercitando Avvenire nei confronti dei clienti dei rider possa spingere le aziende a dare più garanzie ai loro fattorini – perlomeno la copertura assicurativa – e lo Stato a proteggerli di più.
Insomma la Gig-economia non deve portare inevitabilmente allo sfruttamento?
Ho tre figlie e sono consapevole di come il lavoro stia evolvendo verso forme vicine allo sfruttamento. Ma che la formula delle consegne a domicilio coinvolga anche 40/50enni, be’ questo è inedito e sconfortante. (Antonella Mariani)