sabato 16 settembre 2017
Con i fratelli Scholl e altri giovani della loro generazione il "santo della Resistenza tedesca" si oppose alla deriva nazista e finì sulla ghigliottina. Un libro ne rilegge la figura e la storia
Schmorell, una rosa sul golgota di Hitler
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Se c’è una vicenda del ‘900 emblematica di quell’«ecumenismo del sangue» richiamato più volte in questi anni dal Pontefice, è quella della Rosa Bianca, vicenda amata e celebrata dal dopoguerra a oggi. Il gruppo di studenti universitari e alcuni professori – di diverse confessioni cristiane, in maggioranza cattolici – che tra il 1942 e il 1943 organizzarono una serie di iniziative di resistenza civile al regime nazista e i cui membri principali finirono sulla ghigliottina. I nomi più noti restano quelli dei fratelli Hans e Sophie Scholl, evangelici, ma ce n’è uno, relativamente meno conosciuto, Alexander Schmorell, particolare per due motivi: fu l’anima orientale, russa, di quella esperienza e fu colpito nella sua esistenza da due totalitarismi, comunista e nazista. È anche l’unico a essere stato canonizzato, dalla Chiesa ortodossa, nel 2002. Oggi avrebbe compiuto 100 anni e sulla sua affascinante vita è da poco uscito un libro negli Stati Uniti, scritto da Elena Perekrestov e pubblicato dalle edizioni del monastero della Santa Trinità di Jordanville (New York), Alexander Schmorell, Saint of the German Resistance.

Schmorell nacque appunto il 16 settembre 1917 a Orenburg, città della Russia sud-orientale, a poche settimane dallo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre. Era figlio di un medico tedesco e di una donna russa profondamente religiosa (figlia di un sacerdote ortodosso) che morì di tifo un anno dopo. Il padre si risposò con un’altra donna di origine tedesca nata in Russia, cattolica, e nel 1921, dopo la presa di potere anche a Orenburg dei bolscevichi, fuggì con la famiglia a Monaco. Alexander fu cresciuto nella fede in cui era stato battezzato, seguito da una pia governante ortodossa che seguì gli Schmorell in Germania. E in una casa in cui si parlava indifferentemente tedesco e russo, conservò un legame profondo con la terra in cui era nato.

Di portamento nobile, amante dell’arte – della scultura in special modo – e della musica – suonava il pianoforte –, a Monaco Schmorell studiò e frequentò la parrocchia ortodossa di San Nicola. Al ginnasio strinse l’amicizia della vita con un compagno di classe, Christoph Probst, che fu poi ucciso insieme ai fratelli Scholl. Dopo la maturità venne arruolato nell’Organizzazione del lavoro civile e successivamente nell’esercito. Nel 1938 partecipò all’occupazione dell’Austria e della Cecoslovacchia. Sia in lui che in Probst crebbe la sensazione che la Germania si stesse avvicinando a un baratro. Scelsero di iscriversi alla facoltà di Medicina, che in quegli anni rappresentava anche un rifugio di umanità per chi rifiutava di imbracciare le armi al fronte, permettendo di servire nelle retrovie nella cura dei feriti. A Medicina avvenne l’incontro con Hans Scholl, poi con la sorella Sophie, e con Willi Graf, cattolico resistente. E da quell’incrocio di destini sbocciò la Rosa Bianca.




Dall’estate del ’42 fino a novembre Schmorell, Scholl e Graf parteciparono alla campagna di Russia e ne tornarono ancora più convinti a continuare le azioni di contropropaganda che avevano iniziato nella primavera di quello stesso anno e che portarono pochi mesi dopo al loro arresto.
Romano Guardini, chiamato a celebrare la memoria della Rosa Bianca, subito dopo la guerra, scrisse in un suo memorabile discorso che «ad essi importava l’onore del popolo tedesco, la sua vita spirituale, la sua vocazione autentica. Per questo si sono ribellati...» e «la loro azione, impotente se considerata da un punto di vista realistico, forse perfino folle, porta in sé questo significato ed è assurta a simbolo della nobiltà umana». Guardini colse due tratti fondamentali di quei giovani e della loro breve vita: l’opzione per la verità contro la menzogna del potere, opzione che andava oltre i calcoli delle percentuali di successo; e il loro radicamento nella fede, prima e oltre la dimensione politica. Spiritualità diverse alimentarono la comune tensione alla radicalità cristiana. Se i fratelli Scholl furono influenzati dagli scritti di sant’Agostino e dalle meditazioni del cardinale Newman, Schmorell fece conoscere ai compagni le profondità della religiosità russa, a partire dall’opere di Dostoevskij.

Se un filosofo cattolico come Theodor Haecker dava linfa di pensiero agli studenti, le omelie del sacerdote ortodosso di San Nicola, Alexander Lovchii, tempravano lo spirito militante. E se da una parte le parole coraggiose dell’arcivescovo di Münster, il cardinale Clemens August Von Galen, fortificavano, contemporaneamente consolavano le notizie che arrivavano della Chiesa confessante, la parte del protestantesimo che rifiutava il nazismo. Così, anche chi non aveva inizialmente una formazione religiosa, fu spinto a salire sul Golgota abbracciando la croce. Christoph Probst aveva alle spalle una storia di sofferenze familiari. I genitori si erano separati appena dopo la sua nascita e il padre, studioso di sanscrito e filosofia indiana, antroposofo, più avanti morì suicida. Probst era anche l’unico del gruppo della Rosa Bianca a essersi sposato appena ventenne e ad avere tre figli, per cui gli fu consigliato di rimanere defilato rispetto alle azioni del gruppo, anche se non servì. Il giorno dell’esecuzione della pena capitale, il 22 febbraio 1943, chiese di essere battezzato nella Chiesa cattolica e di ricevere la Comunione.

Anche Schmorell visse i mesi di carcere, prima di essere ghigliottinato il 13 luglio 1943, come la sua salita al calvario. «Tra poche ore sarò in un mondo migliore – scrisse nell’ultima lettera ai familiari – con mia madre; non vi dimenticherò e intercederò presso Dio per la vostra consolazione e la vostra pace. E vi aspetterò. Una cosa soprattutto vi chiedo con il cuore: non dimenticatevi di Dio!». Morì come aveva vissuto, mosso dalla convinzione che ciò che facciamo in questa vita echeggia nell’eternità.

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