Miliziani della Lord's Resistance Army di Joseph Kony (Reuters)
Quando si chiude l’ultima delle 386 pagine, non può non venire in mente la celebre affermazione dell’Amleto di Shakespeare: «C’è del metodo in questa follia». Leggere When The Walking Defeats You significa conoscere la testimonianza diretta di una delle guardie del corpo di uno dei criminali più ricercati del mondo. Parliamo di Joseph Kony, fondatore e capo del Lord’s Resistance Army, il famigerato Esercito di Resistenza del Signore: suo teatro d’azione il Nord Uganda, ma anche sconfinamenti in Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Repubblica democratica del Congo: ad oggi, è stato causa di 30 mila morti e 2 milioni di sfollati. Il 6 dicembre scorso davanti alla Corte internazionale dell’Aja è comparso il primo capo del Lra: Dominic Ongwen deve rispondere di 70 capi d’accusa per crimini di guerra. Leggere When The Walking Defeats You significa entrare in presa diretta all’interno di uno dei gruppi di miliziani più sanguinari del nostro tempo. E al contempo scoprire – ecco l’eco shakespeariana – che in questa follia alberga una razionalità impastata di equilibrismi politici, alleanze militari fatte e disfatte, tranelli diplomatici e agguati bellici ai vari tentativi di pace.
Forse non possiede la forza primordiale che ebbe Ishmael Beah, baby soldato della Sierra Leone, che con il suo acclamato Memorie di un soldato bambino (Neri Pozza) fece conoscere al mondo in forma letteraria quello che missionari, ong e tanti operatori umanitari purtroppo già conoscevano di loro: migliaia di bimbi innocenti tramutati in macchine di morte. Ma questo racconto di George Omona (nome finto per ragioni di sicurezza), un tempo aspirante maestro, grazie alla penna dal giornalista Ledio Cakaj (da poco edito in Inghilterra per Zed Books), rappresenta qualcosa significativo: come recita il sottotitolo, è il resoconto di prima mano della guardia del corpo di Kony, una delle decine di persone che il leader del Lra faceva istruire per difendere se stesso, i propri più stretti luogotenenti, le sue (circa) 60 mogli e gli innumerevoli figli, avuti grazie alla sottomissione schiavistica di ragazze e bambine rapite dai pro- pri villaggi e dall’amore di casa. Il racconto di George, dunque (classe 1988, lui reclutatosi volontariamente nel Lra in nome dello spirito di ribellione degli Acholi, l’etnia di riferimento del Lra).
Grazie a lui è possibile conoscere in dettaglio cosa fa, come vive, come si organizza, cosa pensa, cosa decide un esercito di miliziani responsabile di tantissima sofferenza. Ad esempio viene ricostruito punto per punto il massacro di Atiak, il paese natale di George: il luogotenente di Kony, Otti, entra nel villaggio e uccide tutti i maschi dai 13 anni in su, 300 vittime. E le donne e ragazze finiscono schiave: ci sono quelle che Kony prende per sé per garantirsi una discendenza (George afferma di averne conosciute personalmente 17 ma di aver sentito che il leader aveva addirittura a 60/70 “consorti”). Le ragazze in età prepuberale vengono rapite e usate come cuoche, baby sitter, factotum nella foresta. Il continuo vagare del gruppo di Kony per sfuggire alla cattura ed effettuare incursioni anti-governativi necessita di molte braccia che attrezzino tende, pasti, piani di difesa.
George racconta che sono almeno 12 i pretoriani che custodiscono notte e giorno la tenda dove dorme il leader supremo (il Grande Maestro, il Capo degli spiriti alcuni dei nomi con cui è conosciuto internamente Kony), stando a una distanza di 30/50 yard dal suo giaciglio. Solo due uomini possono stare a guardia davanti alla tenda del boss. E in totale sono tra i 200 e i 250 gli uomini che costituiscono la Central Brigade, il gruppo che difende Kony da ogni evenienza. Curiosità (amara per noi italiani): uno dei terroristi più ricercati del mondo, nascosto nelle foreste impenetrabili d’Africa (sebbene più di un missionario abbia denunciato come la sua non cattura sia voluta dai governi che teoricamente gli starebbero dando la caccia: averlo come spauracchio giustifica spese militari, controllo di certe zone in maniera militarmente ferrea, oppressione di determinate etnie e regioni…), ebbene Kony non gira armato fino ai denti. Ha con sé “solo” una Beretta 9 millimetri. E il testimone del libro racconta di non averlo mai visto (in 3 anni) sparare un solo colpo di pistola.
Ma come vivono i miliziani del Lra? George ricostruisce vari dettagli: non è permesso loro bere alcool, fumare né assumere droghe (però diversi generali si ubriacano di nascosto…). Camminano molto, si alzano presto alla mattina, si fermano per pranzo intorno alle 13, vanno a dormire verso le 20. Privi di orologi, devono ben presto imparare a orientare il proprio tempo guardando il sole o decifrando la posizione della luna. Si parlava sopra di «metodo nella follia ». Uno dei meriti del libro di Cakaj è proprio mostrare il livello “politico” e geopolitico del Lra, facendo capire come dietro la maschera di sanguinario rivoltoso Joseph Kony abbia una sagacia da giocatore di azzardo nel tessere legami internazionali sul piano diplomatico, facendo e disfacendo accordi e trattati.
Ad esempio si ricostruisce i contatti dei luogotenenti del Lra con l’allora presidente del Congo, Laurent Kabila, il quale in una lettera scritta accorda a Kony il diritto di entrare nel suo Paese. Così quando il Lra convoca i capi tribù della regione del Congo di Garamba, mostra tale lettera: i capi accordano ai miliziani il permesso di insediarsi nella loro regione in cambio della salvaguardia dei loro villaggi da ogni razzia. Sempre la testimonianza di George suffraga quello che analisti e osservatori hanno spesso rilevato: l’appoggio che il governo del Sudan ha dato al Lra in chiave anti- indipendentisti del Sud Sudan. George un giorno assiste all’incontro tra Kony e suoi generali con rappresentanti dell’esercito sudanese. Tanto che nel 2009 è lo stesso Kony a spingere perché il Lra si rifugi in Darfur «dove – dice – nessuno ci attaccherà».
E il racconto dei colloqui di pace, dei vari voltafaccia diplomatici di Kony in sedi internazionali, dimostrano la sfrontatezza spregiudicata di un miliziano la cui iniziale tensione ideale (difendere i diritti dell’etnia Acholi, sotto pressione da parte del regime del presidente-padrone Museveni) si è ben presta tramutata in un’assetata e unica ragione: la propria sopravvivenza a costo di qualunque violenza a discapito di tanti innocenti, che ne pagano l’altissimo prezzo.