Predatori della giungla capitalista, i manager senza scrupoli sono i favoriti nella lotta per il successo in un mondo – quello degli affari – governato dalla legge darwiniana dello «rank and yank», in cui il perdente è destinato ad essere eliminato. Arroganza, disponibilità al rischio fino allo sprezzo, capacità di azzardo sono "qualità" spesso assai apprezzate nell’alta finanza. Ma il costo c’è, come dimostra anche la crisi attuale. I clamorosi e imprevisti fallimenti di Enron, WorldCom, Tyco, Adelphia. Il devastante sistema a piramide di Madoff, autore di una delle frodi finanziarie più grandi di tutti i tempi. Per tacere dei drammatici casi che hanno coinvolto negli anni scorsi i risparmiatori italiani. Tutti disastri causati da una gestione aziendale criminale, che ha causato un numero di vittime a 7 cifre. Top manager come serial killer di massa? Secondo alcuni studi americani e inglesi, sì. Robert Hare, professore emerito di psicologia alla University of British Columbia, è l’autore di una
Psicopathy Checklist, un questionario adottato a livello internazionale per individuare i disturbi psicopatici. La lista ricerca due aree di fattori. La prima riguarda la mancanza di scrupoli, responsabilità, empatia, sensi di colpa, la tendenza alla menzogna e alla manipolazione, il cinismo; la seconda l’instabilità, i comportamenti apertamente devianti, l’aggressività non controllata. A seguito dei ripetuti scandali finanziari Hare, assieme a Paul Babiak, uno psicologo aziendale di New York, l’ha rielaborata e l’ha applicata agli esponenti dell’alta finanza. Con risultati drammatici. Gli studi sulla
corporate psychopathy, la «psicopatia aziendale», hanno dimostrato che la maggior parte dei disastri finanziari degli ultimi 15 anni non sono stati causati «da immoralità occasionali di persone che hanno sbagliato e che quindi possono pentirsi – scrive lo psicoanalista Luigi Zoja nel suo recente
La morte del prossimo – ma da perversioni morali permanenti che, se non fossero state scoperte, sarebbero continuate perché non lasciavano sensi di colpa». Lo psicopatico è la maschera della normalità. A suo agio con se stesso e con chi lo circonda, spesso appare di intelligenza superiore, è dotato di fascino ed è capace di attirarsi subito le simpatie. Il problema è che è tutto falso. L’individuo psicopatico manca totalmente di una legge basilare per la convivenza umana: «Non fare all’altro ciò che non vorresti fosse fatto a te». I tedeschi, che nel lessico hanno una precisione infallibile, hanno una parola apposta:
schadenfreude, «la gioia per la sfortuna altrui». A un tratto la bolla esplode. E il risveglio è una dura realtà. Gli psicopatici rappresentano l’1% delle popolazione, ma la concentrazione aumenta nei luoghi di potere. E il capitalismo selvaggio sembra essere l’habitat ideale per la psicopatia. Ricercatori della
Stanford Graduate School of Business e della
Carnegie Mellon University hanno sottoposto a un gioco che simula investimenti finanziari 41 persone con quoziente intellettivo nella norma, 15 delle quali però con lesioni all’area del cervello che governa le emozioni. Gli individui con il cervello danneggiato hanno registrato
performance ampiamente superiori rispetto agli altri. E così c’è chi parla apertamente di «psicopati di successo». Belinda Board e Katarina Fritzon dell’Università del Surrey, in Inghilterra, specializzate in psicologia criminale, hanno comparato 39 top manager con criminali e pazienti gravi. È risultato che la personalità dei dirigenti d’azienda aveva molti punti in comune con gli psicopatici criminali. Ma solo per il primo dei due fattori della
checklist di Hare, vale a dire nei caratteri che rivelano un’immoralità nascosta sotto la superficie, mentre gli elementi che rendono trasparente all’esterno la pericolosità sono assenti. E questo, secondo la Board e la Fritzon, spiegherebbe il successo degli psicopatici della finanza, che infatti ricoprono alte cariche aziendali, mentre gli altri – i criminali tradizionali, impulsivi e fisicamente aggressivi – si ritrovano presto in carcere. In America li hanno chiamati «manager tossici». Rappresentano l’evoluzione del criminale che ha imparato ad adattarsi al nuovo sistema socioeconomico. Rispetto a quelli tradizionali, secondo Zoja, non hanno più bisogno di un «prossimo», anche se soltanto per aggredirlo. Un passaggio non dissimile a quanto è accaduto alle tecniche belliche, evolutesi dalla baionetta alle armi di distruzione di massa.