Save The Youths la formazione di migranti e asilanti che gioca in Terza categoria Figc (Ennio Brilli)
Novanta minuti di lotta e di sudore, di palloni calciati a schizzare in ogni metro quadrato del campo, di fuori giochi, mani nei capelli e urla di gioia. Ma finisce 2-1 e Save the Youths Montepacini porta a casa i tre punti contro i validi padroni di casa dell’Altidona Smail 72.
Siamo in terza categoria, girone G, provincia di Fermo. La partita dello scorso sabato è una delle tantissime che tutti i fine settimana animano la galassia dei campi da calcio nella nostra penisola. Solo che ad aggiudicarsi l’incontro c’è una formazione speciale, “panafricana” come la definiscono strizzando gli occhi gli stessi giocatori raccolti in panchina. Sì, perché a ordire le azioni di gioco sono gambiani, senegalesi, ivoriani, ciadiani, «quest’anno c’è anche un somalo».
Sono arrivati dalla Libia, in mare, sono passati per gli ex progetti Sprar e così, a quanto ci risulta, Save the Youths Montepacini in Italia è l’unica squadra formata da rifugiati e richiedenti asilo politico che partecipa a tutti gli effetti ad un campionato della Figc. A fare spogliatoio ci sono anche sei italiani, volontari del sociale prevalentemente, su una rosa di ventotto atleti.
«Non è solo una questione di competizione sportiva. Il pallone fin dall’inizio ha rappresentato un strumento di integrazione, per unirci fra di noi ed entrare in contatto con la realtà esterna», spiega Dodou Singhateh, uno dei giovanissimi dirigenti, gambiano, che tra le varie attività traduce ai compagni meno ferrati in italiano le indicazioni tattiche di Massimo Izzo, il mister. «Sbarcati in Italia sui barconi e trapiantati a Fermo, alcuni di noi sentivano la necessità di fare qualcosa per uscire dall’isolamento. Prima abbiamo fondato l’associazione Save the Youths e poi da lì è nata la squadra di calcio, attività che piaceva a tutti».
Oggi lo spogliatoio è coeso, ci si aiuta nella ricerca del lavoro o nei corsi di lingua. Giocatori africani e italiani escono assieme, partecipano a eventi, concerti, momenti di incontro, organizzano anche amichevoli nelle zone terremotate. Il progetto ha acquistato solidità grazie all’impegno della Fattoria sociale Montepacini, realtà immersa fra le colline fermane che con le sue due case coloniche e i 13 ettari, realizza percorsi d’inclusione per persone disabili. Qui erano accolti in alcuni progetti anche dei ragazzi che poi hanno dato vita alla società sportiva. «Già avevamo la nostra squadra di calcio integrato, per persone con disabilità, iscritta al campionato Marche-Abruzzo e così ci siamo dedicati alla nuova avventura con entusiasmo. Save the Youths porta in sé una proposta di partecipazione fresca, pura – racconta Marco Marchetti, il portavoce della Fattoria sociale – mentre muovevamo i primi passi, tutti ci dicevano che sarebbe stato impossibile, ché ci sarebbero stati problemi con i tesseramenti, e bisognava reperire il passaporto sportivo di ognuno. Voci che si sono rivelate infondate. Persistendo, ad una manciata di ore dal primo match, siamo riusciti a regolarizzare tutti, anche grazie all’aiuto della Lega nazionale dilettanti di Fermo. Oggi competiamo in piena regola, siamo l’unica realtà del genere in Italia».
Al progetto partecipano, fra gli italiani, anche dei ragazzi con disabilità relazionale lieve che lo scorso campionato hanno giocato degli scampoli di partita. Spiega Marchetti: «Parliamo di calciatori con delle proprie capacità atletiche, che si sono meritati in pieno il loro spazio. Quest’anno però hanno difficoltà ad unirsi agli allenamenti. La nostra è una realtà che si fonda sul volontariato, spostamenti e trasporti sono complicati, le patenti e le automobili scarseggiano».
Andrea Braconi, giornalista, è uno degli italiani in rosa. A quasi 45 anni porta il suo fondamentale contributo di esperienza, in un team, come lui lo definisce sorridendo «che racchiude tutte le caratteristiche del calcio africano: grande slancio atletico e generosità. Ma poi spunta qualche imprecisione tattica e ci si perde in un bicchier d’acqua».
Save the Youths Montepacini proprio per le sue caratteristiche etniche e sociali non è passata inosservata negli ambienti sportivi locali, sollevando curiosità, simpatia, domande. Ma anche sentimenti negativi, come forme di aggressività verbale di marca xenofoba. «La prima volta che è successo i ragazzi ci sono rimasti malissimo, qualcuno addirittura sconvolto. Scoprire negli altri il razzismo ferisce. C’è un’accusa che si è affaccia in più partite, con avversari che dicono ai nostri ragazzi: “Noi domani lavoriamo, voi invece fate la pacchia”. Percezione diffusa tra l’altro infondata, perché qui i giocatori sono braccianti, operai, muratori, gente che è riuscita a crearsi un mestiere e che contribuisce allo sviluppo del territorio. Talvolta percepiamo attorno a noi le manifestazioni di quel clima negativo cresciuto negli ultimi anni in tutto il Paese», spiegano i dirigenti. E ancora Dodou, alla domanda se si sente umiliato dagli insulti razzisti, spiega con voce calma: «Noi sappiamo che tutte quelle parole sono false, ce lo diciamo fra di noi, e così andiamo avanti, ci divertiamo. La prima vittoria è sapersi comportare nella vita».