«Se la Resistenza non portò alla deriva rivoluzionaria lo si deve al ruolo decisivo delle componenti cattolica e liberale », spiega Francesco Perfetti. Allievo di Renzo De Felice, docente di storia contemporanea alla Luiss e direttore della rivista “Nuova storia contemporanea”, Perfetti (che ha recentemente curato il volume
La Grande Guerra e l’identità nazionale; Le Lettere, pagine 244, euro 16,50) è uno degli storici che più hanno contribuito negli ultimi venti anni a una lettura diversa e più completa dei fenomeni di quegli anni.
Ma dopo oltre due decenni di lavoro per allargare la condivisione della Resistenza, non si rischia ora il processo inverso: ognuno a celebrare la versione che più gli aggrada? «Il rischio c’è, è difficile che la condivisione della memoria sulla guerra civile si spinga dal livello storiografico fino a quello politico.
«Guerra civile», lei dice. Definizione di per sé non condivisa. «Non era condivisa fino all’inizio agli anni ’90. Fino all’uscita del volume di Claudio Pavone la definizione era usata solo dalla pubblicistica post-fascista e guardata sdegnosamente dagli altri. Nell’immagine ufficiale la Resistenza era un movimento unitario di massa sotto la guida del Partito comunista e degli azionisti. Immagine completamente falsa. Ci sono state poi negli ultimi anni ricerche che hanno fatto luce su alcuni aspetti di cui prima non si parlava. Ma tutto sommato la condivisione resta ancora oggi un auspicio».
Mattarella esclude si possano fare equiparazioni fra le parti in causa. «Ma per evitare letture sbagliate va ricordato che nella parte che ha dato vita alla Resistenza ci sono state componenti (offuscate dalla propaganda del Partito comunista) che hanno avuto un ruolo importante: penso ai cattolici, ai liberali e anche ai monarchici, cioè a tutte quelle formazioni autonome rispetto alle Brigate Garibaldi e a Giustizia e Libertà. Indicativo, ad esempio, è il silenzio a lungo registrato su vicende come l’eccidio di Porzûs. Ho citato prima l’innovativo libro di Pavone. Ebbene, l’episodio nel suo volume merita quattro righe in una nota a pie’ di pagina. Questa vicenda è stata a lungo ignorata, e tuttora è sottovalutata, perché contraddice alla lettura che si vuol dare del fenomeno. C’era il disegno deliberato di far sparire le altre componenti che davano fastidio, ritenute ostacolo per un processo rivoluzionario che si aveva in mente di realizzare. Lo stesso dicasi per il militari. Fu Giulio Andreotti, in occasione del ventennale, intervenendo su “Famiglia Cristiana” e con un editoriale su “Concretezza”, che iniziò ad occuparsi del ruolo dei militari, che costituirono il corpo dei volontari italiani dopo l’8 settembre».
Qual è l’aspetto più importante in questa rivisitazione recente della storiografia della Resistenza? «La riscoperta delle pagine oscure del cosiddetto Triangolo della morte, aspetto che era stato del tutto ignorato in precedenza. Un fatto che vide eliminati anche tanti parroci e sacerdoti, e che registra ancora resistenze da superare e accertamenti da completare. Cronologicamente successivo rispetto a Porzûs, ma indicativo della stessa impostazione ».
E qual è l’aspetto più negativo? «La constatazione che, dopo tutto, il 25 aprile è ancora un momento divisivo, mentre una festa nazionale dovrebbe di per sé unire».
Come giudica l’apporto dei cattolici? «I cattolici sono stati una delle componenti più forti, accanto a comunisti e azionisti. Portatori di una tradizione politica e diversi dagli altri, che avevano un inquadramento politico-militare finalizzato a un progetto rivoluzionario. Se non fu rivoluzione lo si deve proprio alle componenti cattolica e liberale».
Però la componente comunista ha saputo correggere poi il tiro. «Dopo. Ma Togliatti quando parlava di “democrazia progressiva” si riproponeva la conquista del potere e teorizzava un disegno di tipo stalinista. Si è evitata la deriva rivoluzionaria solo grazie agli eventi successivi che l’hanno impedito, con il decisivo ruolo delle altre componenti».