mercoledì 15 gennaio 2025
La francese Camille Neveux in un libro di fiction racconta le lotte, i sacrifici e i desideri di un nucleo che si dissolve a causa della dittatura
Damasco, il minareto di Qayt Bey della Grande moschea degli Omayyadi

Damasco, il minareto di Qayt Bey della Grande moschea degli Omayyadi - Unsplash

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Siamo a metà degli anni ’90. Aïssa, adolescente mingherlino, e sua sorella Fulla, dolce e saputella, protagonisti del romanzo Il frutteto di Damasco (tre60, pagine 270, euro 16,90) amano aiutare il padre Mustafa nel rigoglioso terreno di famiglia a Daraya, un sobborgo di Damasco. Ma sotto il tirannico regime degli Assad è difficile la vita per chi aspira alla libertà e alla giustizia e nel 2011, coinvolto nella rivoluzione, Aïssa dovrà fuggire esule a Parigi mentre Fulla viene arrestata e partorirà in carcere Nermine, protagonista della seconda parte del romanzo, ambientata nel 2023. La francese Camille Neveux, laureata in giornalismo e in cultura araba, reporter in tutto il Medio Oriente, ha debuttato nella narrativa con una storia che la riguarda da vicino, quella di suo marito Ghaees Alshorbajy.

Come mai, dopo tanti reportage, ha deciso di cimentarsi nella fiction?

«Nel 2016 a Ghaees, invitato a tenere una conferenza, hanno chiesto: “Non è meglio una buona dittatura piuttosto che una cattiva democrazia?”. Sono rimasta scioccata da questa frase, sapendo che cosa Ghaees aveva passato, le notti ancora piene di incubi, la difficoltà di ricominciare lontano dal suo paese. Allora ho saputo che avrei scritto un libro sulla Siria e che sarebbe stata una fiction. Volevo, attraverso il racconto di una famiglia unita nell’affetto che supera esperienze tragiche, mostrare com’era la vita sotto la dittatura degli Assad, soprattutto prima del 2011, un periodo poco descritto dai giornalisti, per l’ostracismo imposto alla stampa straniera. L’idea era d’interessare alla storia della Siria un pubblico il più ampio possibile, che magari non segue la stampa ma che ha voglia di saperne di più e nello stesso tempo cerca un piacevole intrattenimento. Il mio obiettivo era lo stesso teorizzato da Samuel Coleridge nell’800, cioè la cosiddetta “sospensione dell’incredulità”. La fiction è più efficace per far mutare opinione rispetto alla saggistica, che leggiamo con spirito critico. Quando c’immergiamo in un romanzo, presi dalla trama e dai personaggi, abbassiamo la guardia. Così la fiction ci permette di capire meglio gli altri mettendoci nei loro panni e superando i pregiudizi. E avevo vicino un testimone incredibile, che poteva aiutarmi a sollevare il velo su questo paese malconosciuto».

Il personaggio d’Aïssa è quindi ispirato a suo marito?

«Sì, come Aïssa anche Ghaees è nato e cresciuto a Daraya. Ha fatto parte del gruppo dei Shebab Daraya che, grazie a uno sceicco illuminato e progressista, Akkram Al-Saqqa, purtroppo morto in un carcere del regime, hanno imparato l’importanza della libertà d’espressione e della democrazia. Con questo gruppo, senza precedenti nella dittatura feroce incarnata dagli Assad, padre e figli, per 54 anni, mio marito ha dato il via alla rivoluzione nel 2011: in particolare lui è stato il primo a intonare slogan contro Bachar Al-Assad durante le manifestazioni. Abbiamo scritto il libro insieme, lavorando di sera e nel week-end. Io avevo in testa ben chiara la trama, ma volevo che i dialoghi e i dettagli fossero il più possibile aderenti alla realtà. Ghaees m’a aiutato molto raccontandomi i suoi ricordi d’infanzia, che hanno permesso di fare del libro anche il romanzo di formazione di Aïssa. Dal punto di vista psicologico era più facile per lui inserirsi in una fiction che in una testimonianza documentata. Scrivendo abbiamo riso molto insieme ma anche pianto molto, e attraverso la fiction ha potuto gestire meglio l’intensa carica emotiva. Anche il personaggio di Mustafa è reale, ispirato da mio suocero: fino alla caduta di Assad non l’avevo rivelato pubblicamente, perché vive tuttora in Siria e temevo di metterlo in pericolo. I due personaggi femminili, Nermine e Fulla, sono una mescolanza delle mie cognate, nipoti e amiche siriane, ma anche frutto della mia fantasia».

Suo marito come ha vissuto l’esperienza del romanzo?

«Ho rivolto la sua domanda a Ghaees, che ha risposto: “Questo libro è il regalo più prezioso che ho ricevuto in tutta la vita. Grazie a Camille sono riuscito a salvare una storia che avrebbe potuto cadere nell’oblio, soprattutto per i nostri tre figli. Parlare della mia città mi rende felice e ho anche riscoperto mio padre. Sono tanto fiero di lui, di quello che ha fatto. Con la caduta d’Assad, comprendo adesso perché si è battuto per conservare la nostra casa a Daraya, e il nostro frutteto, quando io non ci credevo più”».

Fulla e Nermine rappresentano la nuova donna araba, che crede nell’istruzione e nell’emancipazione?

«Fulla e Nermine rappresentano donne e ragazze che sostengono la rivoluzione e vogliono emanciparsi in una società ancora largamente conservatrice e patriarcale. Non tutte, ovviamente : quelle uscite da famiglie povere o rurali non hanno le stesse opportunità. La loro lotta è cruciale perché la rivoluzione, nata in opposizione al regime di Bachar Al-Assad, è stata anche rivolta contro il conservatorismo della società e il potere degli imam asserviti alla dittatura. Con la caduta d’Assad, questa lotta non è affatto finita, tutt’altro. Una recente foto scattata a Daraya mi ha sorpreso: si vede un comitato incaricato di ricostruire la città, composto esclusivamente al maschile. Qualcuno l’ha fatto notare sui social e il comitato ha promesso di arrivare a una partecipazione integrata. Questo prova che il dibattito influisce, benché lentamente. Come le donne iraniane, le siriane sono forti e ho l’assoluta fiducia che continueranno la lotta».

Con la caduta di Assad tutto cambia: ha intenzione di scrivere un sequel del suo romanzo?

«Avevo già incominciato un secondo romanzo siriano incentrato sul tema della giustizia e della ricostruzione: come ricostruire se stessi per ricostruire un giorno il proprio paese? Come vittime e carnefici potranno vivere di nuovo insieme per fare una nazione, senza un processo di equa giustizia? Non avrei mai immaginato che l’attualità mi rincorresse a tal punto e offrisse un insperato aggancio, se così posso dire, alla mia trama! Poiché questi temi sono più che mai nel cuore del presente, continuerò a scandagliarli. Quanto ai personaggi del Il frutteto di Damasco ero desolata di abbandonarli e ora ho molta voglia di raccontare che cosa succederà loro nella nuova Siria»

Inevitabile l’ultima domanda : che cosa pensa della situazione attuale?

«Il nuovo presidente ad interim de facto della Siria, Ahmed Al-Sharaa, co-fondatore del gruppo islamista Hayat Tahrir Al-Cham, è stato con Al-Qaïda e Daech, coi quali in seguito ha rotto. Il meno che si possa dire è che è ben lontano dai princìpi sostenuti da Aïssa e dal suo gruppo nel libro. Tuttavia lo descrivono come un uomo pragmatico, che ha tolto la galabiah tradizionale in favore di un completo, dunque un uomo che è cambiato. Nella città d’Idlib, il suo feudo, da cui è partita l’offensiva che ha causato la caduta d’Assad, in passato ci sono state manifestazioni contro le torture, l’aumento delle tasse o il divieto di aprire un centro commerciale. Sharaa ha quindi dovuto ascoltare la collera della popolazione. Oggi non potrà fare altro che tenere conto di tutti i componenti della società siriana: cristiani, drusi, alawiti e sunniti, una società pluralista. Benché ciò scontenti gli elementi più estremi, anche all’interno del suo stesso gruppo. Dovrà accordarsi anche con i siriani della diaspora, il cui potere economico sarà determinante per ricostruire il paese, e con la comunità internazionale in allerta. I siriani, che hanno vissuto 54 anni sotto una dittatura sanguinaria, non hanno l’intenzione di abbandonare il paese a un’altra forma di dittatura. Non sono né ingenui, né facili vittime, ma vigili, determinati a ricostruire il loro paese, oggi in brandelli, organizzandosi a livello locale per venire incontro ai bisogni più urgenti, assicurare la sicurezza nelle città, rimuovere i detriti. Come a Daraya, dov’è rimasto un solo panificio e due scuole per 120mila abitanti e tre ore d’elettricità al giorno. La loro ammirevole maturità mi sorprenderà sempre e ho fiducia che non lasceranno svanire la speranza che è sorta con la caduta del macellaio di Damasco. Al minimo deragliamento, Ahmed Al-Sharaa sa che i rivoluzionari della tempra d’Aïssa e di Fulla, e la nuova generazione incarnata da Nermine, scenderanno di nuovo in strada».

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