Se noi continueremo a commettere ingiustizie, Dio ci lascerà senza la musica». Con questa suggestiva frase di Cassiodoro ieri sera il cardinale Gianfranco Ravasi ha chiuso il "Dialogo su fede e musica" (ultimo appuntamento degli incontri su "L’uomo, l’assoluto e l’arte") che lo ha visto a colloquio col maestro Riccardo Muti nell’eccezionale contesto della Basilica di Santa Maria in Ara Coeli. Un incontro che si è intessuto intorno alla capacità della musica di favorire l’incontro col sacro, e quindi sulla necessità di tornare a fare della buona musica in chiesa, soprattutto nelle liturgie. Cassiodoro, ha raccontato il cardinale, «nel sesto secolo realizza un’università cristiana sui suoi terreni in Calabria e la chiama "il Vivaio". Nel primo libro del regolamento istitutivo inserisce quella frase riferendosi ai passi biblici dei Profeti e dell’Apocalisse che descrivono il momento del grande giudizio divino, sottolineando che Dio fa tacere tutto, compreso il canto dello sposo e della sposa». Una metafora della società umana e del suo difficile rapporto con Dio: «Se noi continueremo a commettere ingiustizie, Dio ci lascerà senza la musica». La questione della musica nelle chiese è stata sollevata proprio da Muti, a conclusione di una prima fase del "dialogo" con Ravasi che si è a lungo soffermato sulla musica di Verdi e sul dilemma tante volte dibattuto se fosse ateo o credente. A questo riguardo Muti ha sostenuto che difficilmente si può pensare a Verdi come a un agnostico se si ascoltano i finali del "Requiem" del "Don Carlos", della "Forza del destino" o del "Rigoletto". «Sono opere che tendono a Dio. Come può una persona che non crede scrivere un finale in cui si canta "Libera me Domine de morte aeterna in die ille"? Non so nemmeno come certi direttori contemporanei che dicono di essere atei possano interpretare un simile momento di musica senza porsi una domanda. Non è possibile». Per questo, ha aggiunto, è necessario che «nelle chiese torni musica realmente capace di essere strumento per pregare». Per far questo, secondo Ravasi, bisogna tornare a costruire una nuova sensibilità musicale, partendo già nei seminari, «così che i preti non si accontentino delle comuni offerte. Il ricorso a musica semplice troppo spesso diventa banale. A Dio non possiamo dare certe cose. Servono musicisti di alto livello. Perché l’ascolto è l’altro volto della parola. È un esercizio faticoso. Quando dobbiamo dire che una realtà è incomprensibile, diciamo che è assurda, che viene da "sordo"». In questo senso certa musica contemporanea non è capace di far aprire le orecchie alla Parola divina, è incapace di far salire a Dio come il "Te Deum" di Verdi. E Muti tiene a sottolineare che il problema non è nella semplicità o nella difficoltà della musica, il distinguo è nella capacità della musica di farci fare l’esperienza di Dio. «La chitarra rende la musica semplice e forse più comprensibile, ma la vera musica non ha bisogno di comprensione, la vera musica è rapimento. Lo dice con grande efficacia Dante nel Paradiso quando di fronte alla visione celeste in cui gli spiriti beati si dispongono in forma di croce sente una musica che non intende ma che lo rapisce. Ciò che conta non è la tecnica della musica. Mozart diceva che la musica più profonda è quella che giace fra le note. È lì che si trova la verità. È il rapimento verso l’alto che conquista nella musica». Per questo, ha sostenuto il cardinale, «dobbiamo tornare a fare buona musica nelle chiese tenendo presente che, come diceva il filosofo Jean Guitton, la liturgia è costituita di due momenti in perfetto connubio fra loro, uno in cui c’è il mistero divino che si rende presente e che ha bisogno di musica rispettosa, l’altro in cui c’è la rappresentazione, la partecipazione di tutti. Ecco, abbiamo bisogno di musicisti che ci consentano di vivere questo dualismo con un nuovo linguaggio... Elie Wiesel spiega la musica attraverso la visione di Giacobbe nel sogno in cui scende una scala dal cielo, sulla quale salgono e scendono angeli. Giacobbe si sveglia e riparte. E Wiesel dice che gli angeli quella scala si sono dimenticati di ritirarla ed è la scala musicale, capace di unire la terra al cielo».