«Che sia benedetta / per quanto assurda e complessa ci sembri la vita è perfetta / Per quanto sembri incoerente e testarda se cadi ti aspetta / Siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta». Un giro di violini e la voce scura di Fiorella Mannoia si apre e si illumina di sole. Inutile ripetere che la signora della canzone italiana ha una marcia in più rispetto agli altri Big che da stasera si sfideranno per conquistare il 67° Festival di Sanremo. In ogni caso la Mannoia ha già vinto portando all’Ariston uno splendido inno alla vita, nonostante tutte le sue difficoltà. Va riconosciuto il merito degli autori di Che sia benedetta, Salvatore Mineo e Amara (che gareggiò tra i Giovani due anni fa con Credo) che hanno donato un afflato spirituale in più al brano. E forse qualcuno sarà sorpreso di sentire una artista militante, sincera ma capace anche di posizioni dure, come Fiorella “la rossa” cantare «e se è vero che c’è un Dio e non ci abbandona / che sia fatta adesso la sua volontà».
Come mai ha scelto di ritornare a Sanremo dopo 29 anni e proprio con questa canzone?
«È un brano che tocca il cuore. Se non avessi avuto questa canzone così bella, non avrei fatto questa follia di ritornare in gara al Festival. Mi è arrivata quando già avevo chiuso l’album Combattente, uscito lo scorso autunno per Sony. La inserirò nella riedizione speciale che esce il 10 febbraio e la porterò in tour».
Questo brano quanto la rappresenta?
«Non solo mi rappresenta, ma è una canzone che mi ha commosso profondamente, sento che ha una potenza nelle sue parole».
Parole che riecheggiano anche il Padre Nostro.
«È una canzone laicamente spirituale. Quando si parla del senso della vita è inevitabile riferirsi alla spiritualità, sia per i credenti sia per i non credenti. Quando ti interroghi sulla forza, sull’essenza della vita, quando guardi la natura e vedi quanto è perfetta... Siamo noi a sporcarla con le nostre miserie umane, con la sete di potere e di denaro. Quando cominci a volare alto su questi concetti è normale alzare lo sguardo al cielo».
Anche per lei?
«Ovvio. Chi c’è lassù? Chi lo sa. Chi crede fermamente sa a chi credere, chi non crede fermamente guarda il cielo e dice: ci sarà qualcuno? È l’interrogativo che è grande».
La sua risposta è intanto di tenerci stretta questa vita.
«Ce ne dimentichiamo, la sprechiamo per stupidaggini, per invidie, non abbiamo il coraggio di chiedere scusa. Intanto i giorni passano e la vita se ne va. Questa è una canzone adulta».
Nel suo album c’è una canzone dolcissima, Ogni domenica con te dedicata a sua madre scomparsa l’estate scorsa.
«Quando non ero via per impegni, ho passato tutte le mie domeniche fino alla fine con mia madre, quel giorno con lei per me era sacro. C’è una mia canzone, Dal tuo sentire al mio pensare che dice che la distanza che mettiamo fra noi e gli altri, dipende da noi. La cosa assurda è che ci vergogniamo dei nostri sentimenti. A volte vorremmo dire ti voglio bene a una persona, e non ci riusciamo proprio con quelle cui teniamo di più. E poi le persone se ne vanno e rimaniamo col rimorso di non averglielo detto».
Si parla molto nei dibattiti parlamentari di fine vita e inizio vita. Ma non le sembra che della difesa della vita in sé se ne parli meno?
«Parliamo dell’inizio e della fine, ma di quello che c’è in mezzo mai. In mezzo c’è la nostra vita che è fatta di lavoro, di sacrifici, di precarietà, di paura del futuro. Dobbiamo occuparci soprattutto della cultura, della scuola. Dobbiamo cercare di formare futuri cittadini, persone capaci di compassione, di empatia. Bisogna garantire il diritto di vivere la propria vita con dignità senza la paura di non arrivare al domani. Garantire la dignità a un essere umano che può anche permettersi di perdere un po’ di tempo, di alzare gli occhi al cielo e pregare, pensare, riflettere, stare con i propri figli. Invece facciamo tutti una vita frenetica. Che non è vita».
Molte vite oggi vengono spezzate dal terrorismo o affondano in un barcone...
«Ormai ci stiamo abituando al numeri dei morti. Ma nessuno si ferma a pensare che quelli erano esseri umani come noi che avevano dei figli, che volevano un futuro. Ci stiamo abituando alla sofferenza e alla morte come alla pioggia. Questo è aberrante e mi mette paura. Era una vita, e chi lascia? Figli, bambini che muoiono. Chissà cosa sarebbero diventati. Forse nessuno, forse invece potevano essere dei grandi medici, architetti, musicisti. Quelli sono i nostri figli. Ecco, se da una mia canzone nasce un pensiero o solo un retropensiero, per me è già una grandissima vittoria».
Lei da sempre sostiene ong che si dedicano al Sud del mondo.
«Continuo a sostenere alcune associazioni, fra cui Amref, Emergency e il Progetto Axé, per il recupero dei bambini di strada in Brasile attraverso l’insegnamento della musica, della danza e dell’arte. La musica può fare miracoli e l’educazione deve puntare sulla bellezza perché è vero che la bellezza salva il mondo».
Nel suo album c’è una canzone contro la violenza alle donne, Nessuna conseguenza. Un tema che a Sanremo verrà proposto anche da Ermal Meta e Paola Turci. C’è ancora molto da fare?
«C’è ancora tanta strada da fare. La violenza sulle donne non è solo fisica, ma ce n’è una più subdola, psicologica, di uomini che tentano di annullare l’identità di mogli e compagne convincendole che senza di loro non sono nulla. Dobbiamo prima lavorare sui noi stesse, e poi insieme agli uomini, altrimenti non andiamo da nessuna parte. E soprattutto le madri devono insegnare ai loro figli e figlie che l’amore non è possesso, ma rispetto dell’altro».