“L’Umbria è terra con un alto tasso di umanità. E ciò viene dalla nostra cultura dove si toccano con mano le radici cristiane”. Non è facile definire Brunello Cucinelli. Nella sua regione lo chiamano il “re del cashmere” per essere il fondatore e la guida del celebre marchio di abbigliamento pregiato che porta il suo nome e che è presente in più di sessanta Paesi del mondo. Ma Cucinelli è anche un mecenate, un testimonial dell’Umbria nei continenti, il presidente della Fondazione Teatro stabile dell’Umbria. E sta restaurando il celebre Arco etrusco, simbolo di Perugia fra le sue mura storiche.
Cucinelli, partiamo dall’Arco che sta restituendo a nuova vita. Perché lo sta facendo? “Veniamo da famiglie contadine che ci hanno trasmesso l’arte della custodia. Penso spesso a quello che disse Francesco recuperando la chiesetta di San Damiano: “Facciamola bella”. Questo fa parte del nostro dna. Amiamo le nostre pietre sante”.
L’Umbria è terra segnata dalla forte spiritualità. E ora Perugia sogna di diventare Capitale europea della cultura. “Per tre mesi l’anno sono in giro per il pianeta. Considero Perugia una città simile a mille altre del mondo. E’ vero che siamo stati piegati da fatti negativi che ci hanno penalizzato mediaticamente, ma qui abbiamo un’elevata qualità della vita. Questo è dovuto al fatto che riusciamo a miscelare la bellezza dei luoghi, il calore della gente, il richiamo al trascendente, il valore del silenzio”.
Come descriverebbe i suoi concittadini? “Siamo persone fiere e testarde, ma abbiamo anche una straordinaria umanità. Ad esempio, non abbiamo voltato le spalle alla povertà. Siamo aperti all’altro e siamo caratterizzati dall’ospitalità. Se Perugia ha avuto problemi legati alla sicurezza, è probabilmente dovuto anche alla nostra tolleranza. Sul Financial Times ho pubblicato una riflessione dedicata a san Benedetto e ho ricordato che il santo di Norcia ci insegna ad accogliere chiunque bussa alle nostre porte”.
La regione è segnata dalla crisi economica. Come si vive questo tempo travagliato? “Facciamo i conti col grave problema della disoccupazione, specialmente giovanile. Penso che serva ridare dignità al lavoro manuale perché da lì proveniamo. Inoltre vorrei sottolineare che le imprese umbre che hanno creduto nell’eccellenza hanno resistito alle difficoltà: penso ai comparti dell’abbigliamento, della meccanica e dell’enogastronomia. Certo, gli ultimi trenta anni sono stati contrassegnati dalla crescita ma anche da una crisi morale, civile e umana. Il tasso di consumo è diventato talmente elevato che si è trasformato in consumismo. Così si sono affievoliti tre grandi ideali: quelli della spiritualità, della famiglia e della politica”.
Come Perugia e l’Umbria possono uscire dalla spirale negativa? “Oggi si respira un’aria di rinnovamento. Soffia il vento della freschezza. Il nostro futuro sarà roseo: siamo grandi produttori di manufatti speciali e abbiamo luoghi straordinari. Aggiungo che si sta risvegliando la sensibilità spirituale delle persone anche sotto la spinta di papa Francesco”.
Che cosa può dire Perugia all’Europa? “Dopo anni dominati da una visione di stampo illuminista, ci siamo resi conto che c’è bisogno di guardare anche allo spirito. E in questa regione si possono trovare davvero le bussole per l’anima. Del resto l’Umbria è stata in grado di unire l’antichità dei luoghi alla modernità”.