Ermenegildo Lodi, “Cristo parla alla folla dalla barca di Pietro”, 1616. Cremona, chiesa di S. Pietro al Po
Grande rilievo è stato dato a una pubblicazione dello studioso spagnolo Fernando Bermejo-Rubio, grazie a una recensione sul “Corriere della Sera” del 2 marzo, a firma di Paolo Mieli. Il titolo di quest’opera del 2018, e ora pubblicata da Bollati Boringhieri, è L’invenzione di Gesù di Nazareth (pagine 702, euro 32,00). Un titolo d’effetto – rafforzato dal sottotitolo “Storia e finzione” – che fa buona compagnia a simili titoli su Gesù, come quello che è ormai un classico, Gesù non l’ha mai detto. Millecinquecento anni di errori e manipolazioni nella traduzione dei vangeli (Mondadori 2007), di Bart D. Ehrman. Gesù non l’ha mai detto, un testo di alta divulgazione sulla critica testuale del Nuovo Testamento, come diverse altre opere di Ehrman, è diretto a non esperti, che per questa ragione vengono praticamente indotti a credere che i vangeli e gli altri testi cristiani siano inaffidabili sul piano filologico. Significativo è il titolo di un’altra pubblicazione dello stesso studioso, Forged, che allude alle “falsificazioni” che la Chiesa avrebbe compiuto sui testi biblici, e che infatti è stato tradotto nel 2012 con Sotto falso nome.Verità e menzogna nella letteratura cristiana antica (Carocci). La tesi di Ehrman, secondo la quale i testi dei vangeli sarebbero stati alterati in centinaia di migliaia di modi, per errore o per nascondere la verità, è stata sfidata e criticata da altri filologi e, in particolare, da un grammatico della lingua greca come Daniel B. Wallace. Purtroppo però il resoconto del dibattito tra i due (The Reliability of the New Testament, del 2011) non è accessibile in italiano, cosicché i lettori meno esperti conoscono solo le tesi di Ehrman. Significativo, forse, è anche che una delle ultime fatiche di questo autore, E Gesù diventò Dio, sia invece stata tradotta in italiano, nel 2017, dall’editore Nessun Dogma dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti.
Meriterebbe maggiore attenzione il saggio di Fernando Bermejo- Rubio, frutto – come si legge nell’introduzione – di ricerche, studi e relazioni a congressi (ad alcuni dei quali ha preso parte anche chi scrive, ascoltando di persona lo storico spagnolo). È impossibile presentare qui le caratteristiche positive e quelle problematiche di L’invenzione di Gesù di Nazareth, e ci concentriamo solo su un aspetto, forse il principale, però, che ahimè non si riesce ad afferrare pienamente dalla recensione di Paolo Mieli, nonostante che nel sommario si legga: «Non è credibile la tesi che il Nazareno sia stato spesso frainteso dai discepoli». Il punto di Bermejo-Rubio, che egli aveva già presentato altrove, in particolare in un articolo di più di cento pagine del 2014 per la rivista “Journal for the Study of the Historical Jesus”, è che se il Nazareno non è stato frainteso, allora Gesù è, di conseguenza, un rivoluzionario antiromano. Stupisce un po’ la tempistica di questa tesi, una riproposizione di ipotesi risalenti al XVIII secolo, che Bermejo-Rubio tentava di sostenere con testi dai vangeli e ben trentacinque elementi, tra i quali il fatto che i suoi discepoli avevano con sé delle spade durante l’ultima cena. Quelle nominate nel vangelo di Luca (22,36.38.49) sarebbero state vere e proprie armi che Gesù aveva permesso ai suoi discepoli di tenere perché fossero usate al tempo opportuno, per instaurare un terreno regno di Dio.
Emblematico è anche quanto si legge in L’invenzione di Gesù di Nazareth sulla crocifissione di Gesù: poiché è stato crocifisso con due rivoltosi, doveva essere anch’egli della stessa schiera. I racconti dei sinottici sulla morte di Gesù pertanto non sono credibili, scrive Bermejo-Rubio, perché «hanno subito una notevole rielaborazione editoriale sulla base di interessi apologetici. La storia raccontata nei vangeli è il risultato dell’editing di una storia più originale notevolmente diversa», ovvero che Gesù era un capo sedizioso della rivolta antiromana.
Cosa dire di questo volume? Che si debba distinguere tra storia e teologia (cioè, interpretazione), è quanto comunemente si insegna in qualsiasi corso di Introduzione al Nuovo Testamento, e quindi nulla di nuovo. A riguardo, alcune espressioni di Bermejo- Rubio come la dedica del citato articolo alla «minoranza di studiosi che guardano a Gesù di Nazaret senza paraocchi teologici » suonano come un giudizio ingrato nei confronti degli studiosi orientati teologicamente. Ma ciò che difetta in questo saggio è l’attenzione ai vangeli in quanto testi letterari. Sulle “due spade”, ad esempio, vi è una monografia e articoli su riviste scientifiche bibliche che Bermejo-Rubio non cita o non conosce. In quello di Paula Fredriksen, della Hebrew University di Gerusalemme, con argomenti solidi si spiega come la machaira è un’arma da taglio rituale necessaria per la preparazione della Pasqua a Gerusalemme. Solo un esempio, che dimostra che se la sfida lanciata Bermejo-Rubio è da prendere sul serio quando mette in discussione un metodo e la criteriologia per verificare l’attendibilità storica dei racconti o delle testimonianze evangeliche (cosa che già da altri, e da tempo, viene segnalata), non si può però partire da preconcetti pensando che quanto ottimi esegeti e biblisti hanno finora scritto e insegnato su Gesù sia tutto sbagliato.