Ed è tra i suoi «fratelli» che l’avvocato fiorentino torna ogni anno, accolto come il figlio adottivo di «Swnka Cangi», “l’uomo sacro” Leonard Crow Dog senior, che con Frank Fools Crow diede vita al movimento di resistenza pacifica che nel 1973 occupò il territorio di Wounded Knee. «Questi due uomini straordinari per 93 giorni occuparono le loro terre espropriate arbitrariamente e lo fecero pregando Wakan Tanka, il Grande Spirito, che non è poi così distante dalla nostra concezione del Dio cristiano». Il grido di battaglia di Leonard Crow Dog senior ha ridato voce a quegli indiani «che nell’immaginario dell’uomo bianco sono da sempre dipinti come sporchi, cattivi, ladri di cavalli e scotennatori», sottolinea Martire, e nel 1978 con l’ “Indian freedom religious act” ha permesso la riabilitazione del rito autosacrificale della “Danza del sole”, che era stata proibita nel 1890. «Sono state ventidue le “Danze del sole” a cui mi sono sottoposto sotto lo sguardo dei Wichasha Wakan – gli uomini spirituali – e questo mi ha fatto guadagnare la piena fiducia del Consiglio Tribale, il corrispettivo del nostro Parlamento, dal quale sono stato nominato membro onorario della Nazione Sioux. Sono il primo uomo bianco che è giuridicamente riconosciuto come appartenente al gruppo etnico dei Lakota», dice con orgoglio Martire alias «Oyatenakicijipi » («Colui che parla per la sua gente»). È il nome con cui viene salutato nella riserva di Cheyenne River, da dove è appena tornato. Lì vivono gli ultimi sopravvissuti delle nazioni Oenunpa, Shisapa, Itazipco e Mnicojou. «Una comunità di ottomila persone, dotati di regolare tessera che certifica l’appartenenza in quanto possiedono un quarto di sangue Lakota… È il loro bene più prezioso, perché in queste riserve, simbolo della “apartheid” americana, si riscontra il più alto tasso di povertà, di alcolismo e di malati di diabete di tutti gli Stati Uniti. Oltre alla maggiore mortalità infantile e il numero di suicidi giovanili. E tutto questo indica che la “Termination Act” non si è mai arrestata, nonostante il nostro accorato appello alle Nazioni Unite». Nel 2000 infatti, Martire in qualità di responsabile legale dei Lakota ha varcato la soglia del Palazzo di Vetro. «Fu una giornata storica. Grazie alla Regione Toscana, con l’Aiccre (Associazione italiana comuni e regioni d’Europa) nel 1999 abbiamo redatto il primo documento che denunciava il governatore del Sud Dakota per l’esproprio arbitrario di ottocento chilometri quadrati delle terre - lungo il fiume Missouri - di proprietà dei Lakota. Quella battaglia legale non solo l’abbiamo vinta, ma un anno dopo la Nazione Lakota per la prima volta è stata accreditata all’Onu per parlare liberamente della nostra grande cultura». Una cultura ricca di storia e di tradizioni, che Martire continua a divulgare in Europa pubblicando libri come I leggendari guerrieri delle praterie (Altravista) e Siamo tutti fratelli( L’età dell’Acquario) attivando continui scambi tra l’Università di Firenze e la Lakota Sicangu di Rosebud. «Nonostante l’indigenza e i tanti problemi, nelle riserve continuano a sbocciare scrittori (Vine Deloria), musicisti (John Trudell), attori (il leader spirituale Moses Brings Plenty), campioni di pugilato che si allenano nella “Sunkmanitu Oti” (“La tana dei lupi”) di Joe Brings Plenty. Dalle frequenze dell’emittente della riserva, Killi Radio, passano queste voci che fanno ancora sperare in un futuro migliore. Del resto Toro Seduto ha detto: «Quando finiscono i sogni, finiscono le speranze».
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: