sabato 22 febbraio 2025
Credere implica il continuo combattimento con una Alterità che non può essere “risolta” né “fermata”. Spesso le ore del buio sono il tempio privilegiato delle rivelazioni divine
Fedele in preghiera all’interno del Duomo di Milano

Fedele in preghiera all’interno del Duomo di Milano - Imagoeconomica

COMMENTA E CONDIVIDI

È stato appena pubblicato per le Edizioni Shalom il libro di Bruno Forte La preghiera cristiana. Un’introduzione. Ne presentiamo alcuni stralci, tratti dal capitolo terzo, intitolato “La notte oscura”.

La fede non è possesso scontato né facile certezza: piuttosto, è lotta, agonia e, a questo prezzo, pace e gioia del cuore. Lotta fu l’esperienza di Giacobbe al guado (Genesi 32, 23-33): come per lui, così per chi crede il Dio vivente è l’assalitore notturno, tutt’altro che il “Deus mortuus”, proclamato dalla ragione ideologica, o il “Deus otiosus”, esiliato dalla ragione strumentale. Credere implica la continua lotta con una Alterità, che non può essere “risolta” né “fermata”. Ecco perché il dubbio abiterà sempre la fede ed essa sarà combattimento, resistenza e resa, come testimonia il profeta Geremia: «Tu mi hai sedotto, o Signore, ed io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. Mi dicevo: Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome! Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Geremia 20,7. ).

Veramente il Dio della fede è “fuoco divorante” (Deuteronomio 4,24; Isaia 33,14; Ebrei 12,29). In questo senso per credere si ha sommamente bisogno della preghiera, esperienza per eccellenza della lotta con Dio. La “noche oscura”, di cui parla San Giovanni della Croce, è in realtà il luogo delle nozze mistiche: Dio non si trova nella facilità del possesso di questo mondo, ma nella povertà della Croce, nella morte a sé stessi, nella notte dei sensi e dello spirito. Solo dopo aver portato il credente nel fuoco della desolazione, il Dio rivelato e nascosto si offre come il Dio delle consolazioni e della pace: «Dio, se ci vuol rendere viventi, ci uccide» (Lutero). Dio non è risposta, è promessa e custodia: in Lui stanno l’ultima Parola e l’ultimo Silenzio, anche se qui ed ora ci è dato di accoglierli soltanto nella speranza.

Diversamente da ogni ideologia, che lascia l’uomo prigioniero di sé, la fede è un continuo convertirsi all’Altro, un continuo consegnare il cuore a Dio, cominciando ogni giorno in modo nuovo a vivere la fatica di sperare e di amare in compagnia del Figlio abbandonato alla morte per noi, per risorgere alla vita con Lui. Questa notturna esperienza di Dio, che la fede fa nella sequela di Cristo, questa conoscenza vespertina, che anela alla domenica senza tramonto, intravista nella speranza, ma non ancora posseduta, è appunto la preghiera. Perciò nessuna negligenza della preghiera è ammissibile per la fede, nessuna preghiera indolente, statica e abitudinaria. La fede orante dovrà essere sempre interrogante e viva, anche dubbiosa, capace ogni giorno di cominciare di nuovo a consegnarsi all’Altro, a vivere – pregando – l’esodo senza ritorno verso il Silenzio di Dio, dischiuso e celato nella Sua Parola.

Quest’anima pellegrina della preghiera è resa stupendamente dal grido del salmo: «Svégliati, mio cuore, svégliati arpa, cetra, voglio svegliare l’aurora» (Salmi 57,9). Sveglia l’aurora chi aspetta con impazienza nella notte l’avvento del giorno, chi conosce il desiderio del cuore assetato di luce, proteso verso il momento in cui passi l’oscurità e spunti la stella del mattino. In questa condizione di lotta nella veglia, ritorna la domanda: «Sentinella, quanto resta della notte?» (Isaia 21,11). Come il “servus lampadarius”, che portava la fiaccola per illuminare la via nella notte, così la Parola ci aiuta ad accettare i volti della notte per discernere quanto manca all’aurora e quale sia la via da percorrere per andare incontro alla luce del mattino: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Salmi 119,105). Pregare è stare in ascolto della Parola, ruminandola fino ad aprirsi agli abissi del Silenzio che in essa risuona e cui essa schiude, perché si apra la strada nella notte.

È per questo che occorre vegliare nella notte, come servi del Signore, discepoli dell’Amato, in preghiera: «Ecco, benedite il Signore, voi tutti, servi del Signore; voi che state nella casa del Signore durante le notti» (Salmi 134,1). Nella notte Gesù ama vivere l’esperienza del Padre: «Gesù se ne andò sulla montagna e passò la notte in orazione» (Luca 6,12). La Sua preghiera è attesa, amando nella notte il Volto nascosto. La notte, peraltro, è anche il tempo privilegiato delle rivelazioni divine: gli oranti sono spesso i notturni cercatori di Dio. Così è per Abramo (Genesi 15,17); così per Giacobbe a Betel quando fa il sogno della scala che unisce il cielo e la terra (Gen 28,11); così per Elia all’Oreb (1 Re 19,9); così per Daniele e le sue visioni notturne (Daniele 7,2). Chi crede avanza nella notte verso la luce del mattino. Perciò il canto mistico può dire: «O notte più amabile che l’aurora, o notte che hai congiunto l’amata con l’Amato, l’amata nell’Amato trasformata!» (San Giovanni della Croce, En una noche oscura, Strofa V). È di questa preghiera notturna, assetata di luce, che sono testimonianza le parole che Teresa di Lisieux consegna a uno dei suoi testi autobiografici più impressionanti, che dicono della preghiera come lotta e come resa più di ogni astratta riflessione: «Gesù mi ha fatto sentire che esistono davvero anime senza fede. Ha permesso che l’anima mia fosse invasa dalle tenebre più fitte, e che il pensiero del Cielo, dolcissimo per me, non fosse più se non lotta e tormento. Bisogna aver viaggiato sotto quel tunnel cupo per capirne l’oscurità. Signore, la vostra figlia ha capito la luce divina, vi chiede perdono per i suoi fratelli, accetta di nutrirsi per quanto tempo voi vorrete del pane di dolore e non vuole alzarsi da questa tavola piena di amarezza alla quale mangiano i poveri peccatori prima del giorno che Voi avete segnato. Ma osa anche dire a nome proprio e dei suoi fratelli: Abbiate pietà di noi Signore, perché siamo poveri peccatori! O Signore, che tutti coloro che non sono illuminati dalla fiaccola limpida della fede vedano finalmente...» (Scritto autobiografico C, 1897, numero 276).

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: