Quando dice che «l’empatia è la priorità della mobilità del futuro », viene voglia di farsi spiegare il perché. Ma anche quando, al termine di un ragionamento complesso, sostiene che «la mobilità altro non è che un tipo di comunicazione», il confronto si fa interessante. Soprattutto se ci si trova di fronte un signore tedesco che sembra essersi pettinato con i petardi, e del quale si dice che viva in una casa dell’Ottocento alla periferia di Stoccarda, che non guardi la tv da anni, né ascolti la radio, ma nonostante questo di mestiere fa il futurologo. Berlinese, classe 1957, Alexander Mankowsky, ufficialmente lavora da molti anni come art director alla Daimler- Mercedes, ma il suo ruolo specifico per il marchio automobilistico tedesco nel settore Ricerca e Sviluppo, è un altro. «Non prevedo il futuro, non sono un cartomante – spiega subito, per evitare equivoci –. Più semplicemente, anche se semplice non lo è per niente, cerco di intuire le tendenze nell’ambito della mobilità di un arco temporale medio-lungo per suggerire come adattarsi a quello che verrà...».
Allora oltre ai taxi che volano e le perfettamente improbabili smart city che la letteratura futuristica ci propone, che cosa si può ipotizzare che accada veramente nei prossimi anni?
Probabilmente un’accentuazione di quanto sta accadendo già ora, cioè una rincorsa inevitabile alla mobilità sostenibile. L’uomo intanto sta diventando sempre più una macchina e le macchine stanno diventando sempre più umane. Detto così può sembrare inquietante, ma esiste un pericolo vero solo se non si trova un equilibrio tra queste due prospettive. Che è esattamente uno degli obiettivi di chi costruisce le automobili.
Quindi si spiega così l’ispirazione antropocentrica e sostenibile dell’ultimo prototipo creato dai designer Mercedes, la Vision AVTR, un’automobile modellata sui personaggi e sulla filosofia del film Avatar?
Diciamo che la buona tecnologia si connette con facilità alla natura. E che i film, alcuni di loro almeno come anche Matrix e Blade Runner, hanno offerto grandi predizioni del futuro e hanno preceduto con le loro visioni scenari più vicini alla realtà di oggi di quanto si potesse pensare. Quanto alla sostenibilità, sarebbe bello intendersi su cosa sia veramente...
Ci può aiutare lei?
Costruire automobili sostenibili significa prima di tutto fare qualcosa di etico. Ma se dobbiamo parlare di etica, dobbiamo parlare di ciò che è umano. Cosa siamo noi? Cosa vorremmo essere? Questo processo è sempre per le persone. Siamo profondamente radicati nel mondo biologico. E la chiave è l’empatia: come funziona cioè il rapporto tra l’uomo e ciò che lo circonda quando si muove, e come leggiamo le intenzioni degli altri: queste sono le risposte da ottenere per capire il futuro in questo campo.
Lei ha detto che la mobilità è un’attività cooperativa, basata sull’empatia reciproca. Non si rischia che resti solo un concetto astratto?
Non direi, anzi: l’empatia dovrebbe essere la priorità in modo che le aziende possano implementare veicoli automatizzati innovativi in grado di interagire con i pedoni individuando i movimenti umani e utilizzando vari sensori per garantire la sicurezza stradale. Alla fine il traguardo è solo questo: la “mortalità zero” sulle strade è un obiettivo fondamentale nei programmi di sviluppo di tutti i costruttori.
È per questo che Mercedes sta studiando la “macchina cooperativa” autonoma che supera il problema dell’istinto mancante a un veicolo robot e che dispone di un sistema di segnalazione luminosa a 360 gradi sul tetto per avvisare i pedoni della presenza del veicolo e delle intenzioni che prevede di prendere?
Per rendere più agevole l’interazione tra gli esseri umani e la mobilità autonoma, è necessario stabilire una serie di linee guida o di regole. Una delle visioni della mobilità del futuro è immaginare di essere in una sala da ballo popolata per metà da persone e per metà da automi: bisogna studiare come far muovere tutti nella maniera più fluida e senza incidenti. Le auto del futuro dovranno viaggiare da sole sulle strade come noi pedoni facciamo negli spazi pubblici: ci riconosciamo e ci spostiamo senza scontrarci. E lo facciamo in maniera assolutamente inconscia.
Molti però sostengono che le automobili totalmente automatizzate non arriveranno mai...
Diciamo che non è certo un traguardo dietro l’angolo, ci vorranno anni e i problemi da risolvere sono diversi, anche di ordine sociale, legislativo e comportamentale. È prevedibile comunque che il pilota potrà sempre subentrare alla guida. I sistemi sull’auto dovranno garantire di funzionare perfettamente, ma ci dovranno anche essere le condizioni e le strutture idonee. Negli Stati Uniti ad esempio l’approccio sarà più facile, anche per le distanze e le caratteristiche della viabilità. Altrove si comincerà dalle autostrade, ambiente più controllabile e in cui sono disponibili informazioni sul traffico che già adesso consentono utili sperimentazioni. Credo che in certe situazioni di code e alta densità di traffico, la guida autonoma eliminerà i problemi e renderà il viaggio più sicuro.
La criticità maggiore è che il sistema per funzionare dovrebbe basarsi su auto tutte connesse tra di loro?
La mobilità è un tipo di comunicazione. Non tutte le auto saranno dotate nello stesso momento della guida autonoma, certo, ma quando se ne vedranno i vantaggi, anche gli altri utenti ne potranno beneficiare. Ci vorrà comunque una connessione sociale, prima ancora che tecnologica. Si arriverà alla fase in cui molti non potranno più vivere nelle grandi città, ma ci dovranno andare a lavorare. Ecco, la guida autonoma potrebbe essere una risposta.