giovedì 20 marzo 2025
Divulgatore appassionato, ha rivitalizzato una materia bistrattata in un Paese che ne vanta il primato mondiale
Antonio Paolucci

Antonio Paolucci - Ansa/Guido Montani

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Nel suo piccolo studio agli Uffizi, praticamente una stanzetta di tre metri per tre, stracolma di libri, pile di cataloghi, carte e appunti ammonticchiati, Antonio Paolucci trascorreva le sue giornate fiorentine. « Dante è la mi’ Bibbia!», ripeteva ogni volta che, con Luca Serianni, si andava a trovarlo per discutere dell’organizzazione della prima mostra sulla storia della lingua italiana che si sarebbe dovuta inaugurare nel lungo Corridoio vasariano. Un evento insolito anche per lui, che di mostre ne contava a decine nella sua lunga carriera di storico dell’arte, poi soprintendente e, dal 1995 al 1996, anche Ministro per i beni culturali e ambientali con il governo di Lamberto Dini. “Dove il sì suona” fu il titolo della grande esposizione sulla storia della lingua di Dante che il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi inaugurò il 13 marzo del 2003, un giorno prima dello scoppio della guerra in Iraq. Entrambi nella Società Dante Alighieri, l’ente promotore della mostra insieme all’Accademia della Crusca, Paolucci e Serianni concepirono un complesso sistema ad incastro fatto di quadri, fogli, documenti, filmati e preziose testimonianze storiche come il Placito di Capua, il primo documento ufficiale in lingua volgare. La mostra fece più di un milione e mezzo di visitatori, per buona pace di tutti, compreso il Comune di Firenze che quell’anno vide moltiplicarsi i turisti in città. Tra autografi di Giovanni Boccaccio, Eugenio Montale ed Elsa Morante, ma soprattutto tra le tele di Tiepolo, Hayez e Andrea del Sarto, Paolucci si muoveva nei corridoi e nelle sale degli Uffizi come un gatto sul sofà. L’arte era la sua seconda pelle fin da quando nel 1964, sotto la guida del grande Roberto Longhi, si laureò a Firenze per intraprendere immediatamente dopo la carriera nelle soprintendenze di Venezia, Verona, Mantova, Brescia, Cremona e di nuovo a Firenze (che diverrà sua città d’elezione), in qualità di direttore dell’Opificio delle Pietre Dure. Come tutti i grandi appassionati ai temi della legislazione artistica, considerava la Legge n. 1089 del 1° giugno 1939, quella di Giuseppe Bottai, per intenderci, come un modello insuperabile di difesa del patrimonio artistico e ambientale e di cui gli aggiornamenti successivi avrebbero dovuto seguire le tracce. Riprese di nuovo la strada delle soprintendenze, assumendo la direzione a Firenze, Pistoia e Prato, per poi essere nominato primo Soprintendente del Polo Museale fiorentino e Direttore generale dei Beni Culturali di tutta la Toscana. Non una vita da burocrate, bensì da inviato speciale, destinato a vivere tra le migliaia di opere d’arte da restaurare, custodire, ricollocare e salvare, come nel caso di inondazioni e cataclismi. Per questo, nel 1997, venne chiamato a curare le ferite di Giotto ad Assisi e nel 2018 quelle di San Benedetto a Norcia. L’interesse per lo stato dell’arte nella Chiesa, dopo il prestigioso incarico agli Uffizi, lo portò dritto dritto in Vaticano a dirigerne i musei, tra i più importanti del mondo, nonché luogo della cristianità per eccellenza con i loro affreschi della Sistina e delle Stanze di Raffaello. Gli studi iniziali sul Rinascimento, su Caravaggio e sul Barocco sono riemersi più volte nelle sue pubblicazioni, ma soprattutto nelle sue conversazioni d’arte e nelle innumerevoli conferenze e per documentari televisivi. Su tutto, la sua parola di divulgatore è stata come un unguento che ha risanato e ridato vita ad una materia, quella dell’arte, spesso bistrattata in un Paese che ne vanta il primato mondiale. E per questo, ad un anno dalla morte, la Società Dante Alighieri ha ritenuto quanto mai opportuno ricordarlo.

A un anno dalla morte oggi un convegno a Roma

Stamani dalle ore 10.30, presso la sede della Società Dante Alighieri in Palazzo Firenze a Roma, con il patrocinio del Ministero della Cultura, si terrà la giornata di studi “L’eredità di Antonio Paolucci”, dedicata alla memoria del grande studioso, scomparso il 4 febbraio dello scorso anno. La Società Dante Alighieri, con il suo segretario generale Alessandro Masi, intende così ricordare, attraverso le testimonianze di colleghi, collaboratori e amici, l’inestimabile contributo di Paolucci nel campo della storia dell’arte, della tutela dei beni culturali e della museologia.

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