Il fondatore dell'Istituto nazionale afghano di musica, Ahmad Naser Sarmast, e una giovane musicista - .
Musica per la libertà. Martedì 9 gennaio, al Teatro Rossini di Pesaro, 25 musicisti, ragazze e ragazzi tra i 14 e i 20 anni dell’Orchestra Giovanile Afghana suoneranno per la prima volta in Italia. Assieme a loro, le musiciste dell’Orchestra Olimpia, una formazione tutta al femminile che si è tenacemente impegnata per realizzare questo progetto. «Una vicenda nata ancora prima del ritorno al potere dei taleban nel 2021», racconta Roberta Pandolfi, fondatrice e direttrice artistica dell’Orchestra Olimpia. «Abbiamo dovuto superare molte difficoltà, ma infine grazie anche al sostegno logistico del Comune siamo riusciti ad invitare questi nostri giovani colleghi afghani». Il concerto è il primo degli eventi internazionali previsti nel 2024 per Pesaro capitale italiana della cultura. E il titolo – Musica per la libertà – è stato scelto per ricordare una libertà negata in Afghanistan: quella di fare musica. Pandolfi ci introduce a Ahmad Naser Sarmast, l’etnomusicologo che ha fondato e diretto a Kabul l’Istituto Nazionale Afghano di Musica. Fino a quando non è stato soppresso dai Talebani. Ma lui non si è arreso, come racconta in questa conversazione. «Abbiamo lasciato l’Afghanistan con tutti gli studenti, gli insegnanti e lo staff dell’Istituto a causa del ritorno dei talebani al potere. Quando sono arrivati a Kabul, molti media occidentali hanno detto e scritto che i taleban del 2021 erano diversi di taleban del 1996, ma per noi che viviamo e lavoriamo in Afghanistan tutto è stato subito chiaro: i talebani non sono cambiati, e non cambieranno mai. Quando sono tornati al potere hanno di nuovo bandito la musica, hanno cancellato ancora una volta la voce del popolo afghano. Nella nostra scuola si è installata la rete di Sirajuddin Haqqani, il militare e politico che oggi è il vicecomandante supremo dei taleban. Il nostro Istituto è stato chiuso anche a causa degli obiettivi che perseguiva: la promozione dei valori democratici, i diritti umani, la parità di genere, il rispetto per le diverse culture musicali».
Dopo aver abbandonato l’Afghanistan avete trovato una nuova sede in Portogallo. Come è stato possibile?
Siamo molto grati al governo portoghese che ha accolto circa trecento persone della nostra scuola e ci ha aiutato a continuare l’insegnamento musicale per sostenere la salvaguardia, durante l’esilio, della tradizione musicale afgana. Dall’ottobre 2022 i nostri studenti sono iscritti al Conservatorio di Lisbona e l’Orchestra Giovanile Afghana, che è stata fondata nel 2010, ha debuttato presso la Gulbenkian Concert Hall. Un momento entusiasmante di rinascita. Da allora siamo stati invitati in Spagna, In Francia, In Germania, in Svizzera.
Per aiutarvi in questa impresa si è creata una mobilitazione internazionale. Ne ha fatto parte anche un grande musicista, il violoncellista statunitense Yo-Yo-Ma.
Yo-Yo- Ma è un grande amico del nostro Istituto. Lo abbiamo incontrato nel 2017 quando la nostra orchestra femminile Zohra ha suonato al World Economic Forum di Davos, in Svizzera. Quando abbiamo lasciato l’Afghanistan siamo stati aiutati da musicisti, avvocati, politici, istituzioni governative, organizzazioni per i diritti umani, Yo-Yo-Ma è stato uno delle persone che hanno risposto positivamente. È stato merito suo e di altre persone di buona volontà se siamo riusciti ad entrare in contatto con il governo del Qatar che ha avuto un ruolo significativo nell’evacuazione della nostra comunità dall’Afghanistan.
Dopo oltre due anni dal loro ritorno al potere, c’è qualche segnale di tolleranza verso la musica da parte del governo Talebano?
I Talebani hanno negato ad ogni persona il diritto di fare musica: agli uomini, alle donne, ai bambini, ai giovani, agli adulti. È proibito ascoltare, praticare, studiare musica. Anche ai musicisti professionisti non è permesso di vivere con la musica. La musica è bandita per tutti i cittadini afghani. Un patrimonio musicale antico di oltre un millennio è diventato impraticabile”.
All’interno del vostro Istituto si era formata nel 2015 un’orchestra femminile, l’Orchestra Zohra, dal nome della divinità preposta alla musica. È ancora attiva?
Anche l’Orchestra Zohra è stata ricostituita. Molte componenti si sono ritrovate in Portogallo, alcune hanno deciso di trasferirsi in altre città europee, ma in ogni caso l’orchestra si è riformata e ha ripreso la sua attività. Il sito web dell’orchestra è rimasto sempre aggiornato. Ma bisogna sempre ricordare che in Afghanistan i diritti delle donne sono negati.
Quale rilievo ha per voi il concerto di Pesaro, il primo che tenete in Italia?
Ha un importante significato. Non soltanto per l’opportunità di condividere la bellezza della musica afghana, di poter suonare assieme a questo partner meraviglioso che è l’Orchestra Olimpia. Per noi questo concerto esprime la possibilità di restituire ai musicisti afghani la musica afghana e di far sapere al mondo che oggi l’Afghanistan è una prigione a cielo aperto per i suoi cittadini.
Esiste la possibilità di un vostro ritorno a Kabul?
Esiste come esistono i sogni. E’ un sogno l’idea di poter di nuovo fare musica a Kabul, ma impossibile fino a quando i Talebani rimarranno al potere.