Jonathan Safran Foer - Jeff Mermelstein
Il 14 ottobre ad Alba 400 studenti di 25 giurie scolastiche voteranno il vincitore della 13ª edizione del Premio Lattes Grinzane, che quest’anno omaggia Hanif Kureishi, scrittore anglo-pakistano di 68 anni che il 26 dicembre scorso ha subito una lesione in seguito alla quale dal letto d’ospedale ha iniziato a comunicare la sua condizione tramite Twitter, raccontando la sensazione di non trovare più coordinamento tra ciò che era rimasto della sua mente e ciò che era rimasto del suo corpo. In questa occasione verrà anche assegnato il Premio Speciale Lattes Grinzane 2023 a Jonathan Safran Foer, pubblicato in Italia da Guanda, per la capacità di coniugare «ricerca storica e fiction, racconto e ricerca stilistica, con risultati sorprendenti che attestano, anche agli occhi dei più scettici, la vitalità del romanzo e la sua capacità di ibridarsi con altre forme letterarie, con efficacia narrativa e una forte impronta etica su alcuni dei temi più urgenti del nostro tempo come il clima, il cibo e la distribuzione della ricchezza». È proprio a partire da questi temi – giovani, social media, ambiente, disparità – che abbiamo dialogato con lo scrittore americano, ponendo l’attenzione non solo sull’attualità che stiamo vivendo, ma più in generale sull’impatto emotivo che questi argomenti hanno sulle nostre vite e sulla nostra speranza per un futuro che non sia «bianco o nero, ma una miscela che ci allontani da un approccio binario e ci avvicini all’empatia».
Nella sua lectio Safran Foer si domanda: «La tecnologia non doveva servire a liberarci dalla paura e dalla fatica per poterci dedicare a scopi più elevati?». È lui stesso a rispondere, in una riflessione sul ruolo che la tecnologia ha nel nostro mondo: «Sui social media c’è una continua pressione a parlare con la voce più forte, con la massima certezza su ogni cosa. Viene spesso premiato il modo di dire le cose e non la ricerca della profondità, della complessità, dei contenuti, anzi spesso si viene attaccati se si cerca di percorrere queste strade. Credo invece sarebbe sempre da analizzare la complessità, perché spesso – e mi riferisco all’attualità – più parti in gioco hanno il diritto a una propria giustizia». Il riferimento è alla situazione in Medio Oriente, che Safran Foer commenta così: «Quanto sta accadendo lascia senza parole. Qualche giorno fa papa Francesco ha dedicato la Laudate Deum a tutte le persone di buona volontà. Ho trovato interessante non fosse indirizzato a tutte le persone di fede. Credo che abbiamo bisogno di questo genere di parole in questo momento. Cosa significa essere una persona di buona volontà? Noè è l’unico che si salva dal diluvio e viene definito una persona giusta per i suoi tempi, non solo un giusto e basta. È molto diverso essere giusto in epoche storiche diverse, e lo stesso vale per l’essere di buona volontà. È diverso essere di buona volontà questa settimana rispetto a due settimane fa, prima degli attacchi in Israele. Questo pensiero e riflessione che associo al Medio Oriente si può applicare a ogni cosa: spesso mi chiedo qual è la cosa giusta da fare in un momento in cui sembra non ci sia speranza, ma io sento la speranza e – un po’ come accade nel cambiamento climatico – forse a volte serve la catastrofe per arrivare ad attuare il cambiamento radicale necessario per pensare a un mondo diverso da quello di oggi. Certo, non è questo il tempo per prendere posizioni certe, perché la situazione è ancora calda; questo è il momento di aspettare in silenzio, anche se è difficile in un mondo come il nostro costantemente sotto pressione a essere esposti a certezze».
Nel 2019 a Mantova Safran Foer ci parlò della sua speranza, stimolata dalle tante persone che credono e si impegnano per l’ambiente e dalle tante persone che in questi anni hanno capito che questo è il momento delle azioni individuali. Prima queste persone erano invisibili, invece oggi tutti vediamo la loro presenza. E stiamo andando tutti nella stessa direzione. Lo scrittore ci disse che non sapeva cosa sarebbe accaduto, ma che si lavorava insieme per il cambiamento. A quattro anni di distanza quella speranza è ancora intatta? «Non si può certo negare che stiamo andando nella direzione giusta, ma non so dire se lo stiamo facendo in tempo. Obama amava citare Martin Luther King, che diceva: “La bilancia della storia si orienta verso la giustizia”, ma io aggiungo: dipende se questo avviene velocemente o lentamente, perché molti problemi di oggi sono sensibili al tempo in cui vengono risolti, essendo molto urgenti. Da molto inoltre mi occupo delle scelte individuali di fronte ai cambiamenti, ma c’è anche bisogno di un cambiamento di sistema. Papa Francesco nella Laudate Deum si occupa di questo in termini puramente matematici, dicendo che l’azione del singolo potrebbe sembrare piccola cosa, ma tutto conta, perché le scelte individuali plasmano la cultura e di conseguenza i governi, che a loro volta hanno bisogno di voti dei cittadini».
Riguardo ai giovani e al cambiamento radicale, lo scrittore aggiunge: «Mai come ora vedo consapevolezza e urgenza di agire, ma ci vorrà tempo prima che le generazioni di giovani siano qui a cambiare le cose con noi. Il tema è che abbiamo bisogno di loro per una rivoluzione politica e culturale, ma non abbiamo tempo di aspettare, perciò per quanto possa sembrare strano, per il momento dobbiamo impersonare il loro pensiero, le richieste e le urgenze». Il nodo di questo farci carico dei loro pensieri e delle loro richieste passa per gran parte dal linguaggio e dall’esigenza di trovare un terreno comune su cui dialogare, a partire proprio dal tema della complessità, troppo spesso evitato: «Ogni cosa ha bisogno del giusto linguaggio. Negli Stati Uniti noto che non c’è più spazio per ammettere la complessità e ipotizzare che la controparte in una discussione possa essere alimentata da buone intenzioni, si viene immediatamente percepiti come nemici contro cui essere in disaccordo, eliminando il rispetto; credo invece il rispetto sia fondamentale sempre. Torno ancora a papa Francesco, dicendo che è vero che ci sono persone cattive, ma credo anche che siano una minima percentuale della popolazione, le altre invece partono sempre dalla buona volontà. Purtroppo a volte però la paura rende difficile mostrare la buona volontà, perché con la paura tendiamo a definire tutto in categorie binarie».
Come si supera, perciò, un momento come questo? «Stando dalla parte dei civili delle parti in questione. Tutti noi siamo stati piccoli e qualcuno si è preso cura di noi; se tutti avessimo accesso a questo ricordo, al fatto che qualcuno ci ha portati a crescere per diventare esseri umani indipendenti, il senso di comunanza e fratellanza sarebbe più spontaneo. Se si tornasse al momento in cui qualcuno si è preso cura di noi, quell’immagine “bambina” farebbe scattare un’empatia che non è appannaggio esclusivo di nessuna delle parti in causa».