mercoledì 19 febbraio 2020
Arriva in Italia il "testamento" del gesuita: «La fede in Gesù Cristo salvatore universale è compatibile, e come, con l’affermazione di un ruolo delle altre religioni per la salvezza dei loro membri?»
Il teologo belga Jacques Dupuis

Il teologo belga Jacques Dupuis - Siciliani

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«Posso dire in tutta sincerità che Gesù Cristo è stato l’unica passione della mia vita». È questa l’affermazione che resta scolpita nella memoria quando ci si avvicina, a distanza di anni, all’autobiografia intellettuale di Jacques Dupuis. Il teologo belga fu il sostenitore di una teologia del pluralismo religioso (contenuta in un libro edito da Queriniana nel 1997) che ebbe vicissitudini travagliate nella sua ricezione. L’affermazione di Dupuis sopra ricordata è contenuta in un libro di memorie, inedito e postumo, ora disponibile al pubblico italiano, curato da Gerard O’Connell, giornalista e amico di Dupuis, il quale raccolse dalla sua viva voce il lungo racconto della sua vita, dell’articolarsi del suo pensiero, della formulazione della sua teologia delle religioni. Le oltre 400 pagine che compongono queste "Conversazioni con Jacques Dupuis", come recita il sottotitolo di Il mio caso non è chiuso, pubblicato da Emi (pagine 448, euro 30,00) - testo stimolante per quanti hanno a cuore lo sviluppo della teologia e del dialogo tra le religioni - si leggono come una sorta di romanzo teologico.

Si avverte anzitutto la squisita e granitica passione cristologica ed ecclesiologica di Dupuis, che non si lasciò intruppare nelle maglie del dissenso ecclesiale, ricalcando i passi di personalità come Yves Congar e Henri de Lubac, come lui stesso ricorda. Oggi che papa Francesco ha chiesto nuovo slancio alla Chiesa per un dialogo interreligioso pienamente integrato nella missione evangelizzatrice, si può ritornare più serenamente al pensiero di Dupuis. Basta leggere un testo firmato circa un anno fa, il documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune sottoscritto ad Abu Dhabi da papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahamad al-Tayyib, dove tra l’altro si afferma: «Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani». Un’affermazione audace, che supera il semplice pluralismo de facto, ossia la mera presa d’atto dell’esistenza delle differenze, ma non arriva ad affermare un pluralismo de iure che depotenzierebbe la missione.

Questo e altri passi, a partire dal magistero di Giovanni Paolo II, vanno probabilmente intesi sulla linea dei «segni dei tempi» rilanciati da papa Giovanni XXIII: la storia presenta dei fatti macroscopici attraverso i quali è il Signore stesso, attraverso il suo Spirito, ad interpellare la Chiesa e attivarne il discernimento, la capacità di dialogo e la responsabilità evangelizzatrice. Tra questi fatti si colloca il pluralismo religioso.

La dichiarazione di Abu Dhabi sarebbe stata gradita a padre Dupuis, che conobbi quando venne a Bologna ad insegnare per un semestre, nei primi anni Novanta, allo Studio Teologico nel quale ero docente. Ascoltandolo allora, in alcune lezioni e in dialoghi privati, ci rendemmo conto che stava assumendo un paradigma diverso rispetto al «cristocentrismo inclusivo» elaborato nel suo primo volume del 1989, Gesù Cristo incontro alle religioni, e stava maturando piuttosto quel «pluralismo inclusivo » che connota il volume del 1997.

Lungi tuttavia dall’essere un relativista, Jacques Dupuis teneva sempre fisso il suo sguardo sulla centralità di Gesù Cristo, al quale aveva deciso di dedicare la vita diventando gesuita e missionario. I suoi 36 anni di residenza in India, di cui 25 dedicati all’insegnamento, sono stati (come lui stesso riconosce nelle conversazioni con Gerard O’Connell) un tempo di grazia, un periodo di feconda scoperta della diversità religiosa.

Dupuis venne ordinato sacerdote in India; dei vescovi indiani divenne fidato e fattivo collaboratore; e questo servizio “nazionale” divenne “universale” quando fu nominato consultore del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Il senso di cattolicità in Dupuis era del resto spiccato: la sua notorietà internazionale e il suo peregrinare di università in università, di Paese in Paese per conferenze, lezioni, congressi e seminari, ne sono una valida testimonianza.

Padre Jacques così spiegava il suo primo contatto col mondo delle religioni indiane: «Il mio primo incarico a Calcutta è stato al liceo del Saint Xavier’s College, dove sono entrato in contatto con oltre mille studenti, la stragrande maggioranza dei quali era, come si diceva in quei giorni, “non cristiana”. Sono rimasto colpito sia dalla capacità intellettuale di quegli studenti sia dalla loro moralità elevata ed eccellenza spirituale. Sembravano avere tutte le virtù naturali e soprannaturali. Inevitabilmente mi sono chiesto: da dove prendono queste ricche doti spirituali? E la risposta è arrivata da sé: le tradizioni religiose a cui questi studenti e le loro famiglie appartenevano, e che essi praticavano con serietà, dovevano pure avere qualche ruolo».

Questo incontro con la realtà religiosa dell’India è stata per Dupuis foriero di un significato decisivo a livello teologico e intellettuale: «Ho detto spesso - afferma nel libro curato da O’Connell - che considero la mia lunga esposizione alla realtà culturale e religiosa indiana la più grande grazia che ho ricevuto da Dio nella mia vocazione professionale di teologo. Ho imparato enormemente da quelle generazioni di studenti indiani di teologia. Non mi vergogno di dire che questa esperienza ha cambiato profondamente il mio abituale modo di vedere, e ha dato una forma nuova al mio pensiero teologico».

La teologia di Dupuis è stata dunque plasmata dal pluriennale incontro con le religioni asiatiche, come afferma lui stesso: «Il problema consiste nel chiedersi se e come la fede cristiana in Gesù Cristo salvatore universale sia compatibile con l’affermazione di un ruolo positivo delle altre religioni per la salvezza dei loro membri, in accordo con l’unico piano salvifico progettato da Dio per l’intera umanità. Io, tra altri, do una risposta positiva a questa domanda e costruisco le mie argomentazioni basandomi su alcuni dati della parola rivelata di Dio e della tradizione cristiana». Dupuis è stato un esploratore a volte incerto sui singoli tratti del percorso, come è di tutti i pionieri, ma sicuro nel passo e appassionato del cammino.


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