Pino Mango è scomparso l’8 dicembre del 2014, colpito da un infarto durante un concerto a Policoro
«Pino ha lasciato il suo profumo nelle persone che ha incontrato. Ed è bello che così tanti, ne ricordino passione, dignità, spessore umano ed artistico». Quando parla del marito Pino Mango, uno dei talenti più alti di sempre della nostra musica d’autore (per tacer della voce), la moglie Laura Valente ancora un poco si commuove. Per poi però illustrare fiera, con un cipiglio etico evidentemente affar di famiglia, come Mango verrà finalmente celebrato cinque anni dopo l’infarto che lo uccise su un palco del Materano a sessant’anni appena compiuti: nell’ampio progetto «Tutto l’amore che conta davvero» il cui titolo, va da sé, è stato scelto fra i tanti ricchi di senso nel magnifico repertorio di canzoni e poesie dell’artista di Lagonegro.
Il ricordo di Mango vivrà in due momenti distinti: il 19 mattina a Milano si terrà un incontro sulla sua arte all’Università degli Studi, mentre la sera al Teatro dell’Arte gli verrà dedicato un tributo non ovvio fra parole, musica e la messinscena di una sua favola inedita; il 22 poi uscirà nei negozi il cofanetto Tutto l’amore che conta davvero, composto di quattro dischi contenenti rispettivamente 16 successi, 16 sue collaborazioni importanti, 17 gemme da riscoprire (un disco questo terzo che sbalordisce per bellezza) e 13 brani dal vivo. L’opera sarà edita in forma deluxe con ampio booklet, in forma snella senza la parte live e su vinile unico invece solo con i live: ambito nel quale la bravura spesso d’avanguardia di Mango si esprimeva al meglio esaltandone insieme voce, scrittura, capacità d’orchestrazione, modernità delle idee e carisma di palco. Il tutto corroborato da un’umanità verace, profonda, ironica. Intanto il singolo scelto per lanciare il tutto (Forse che sì, forse che no con Dalla) l’ha riportato ai vertici delle hit: dove peraltro Mango albergò meritatamente molti anni.
Di solito la morte di un artista è seguita subito da celebrazioni discografiche: al di là del tempo del dolore, pare che lei abbia scelto una strada etica…
Sì: e oggi è anche un freno. Quando pensavo di fare qualcosa per Pino mi rispondevano che senza inediti non interessava. Ma gli inediti che ha lasciato erano solo faccende che non volle usare, non aveva senso riprenderli: tanto più che era negativo sulle opere postume. Però creda, il tempo del dolore in realtà non è finito: solo si impara a conviverci. Alla fine sono stati amici come l’autore Alberto Salerno e i discografici Razzini e Senardi a spingermi a ricordare Pino mirando a riscoprirne il patrimonio indicizzandolo e dandogli nuovo aspetto: ma partendo da sue scelte e coinvolgendo il suo entourage.
Qual è il centro del Mango artista e uomo, per lei?
Si vede guardando com’è morto… In quel filmato di Youtube, che alla fine non ho fatto rimuovere perché passasse proprio un messaggio forte, c’è tutto.
Pino ebbe l’infarto suonando Oro e la prima cosa che disse, nonché l’ultima, fu «scusate» al pubblico.
Esatto, si comportò com’era. Un uomo di dignità, passione, spessore. E sono contenta che di recente il rapper Willie Peyote abbia scritto il brano Mango sottolineando l’eroismo umano di quel gesto e il buon esempio che può derivarne a leggerlo correttamente.
Era sereno negli ultimi tempi? Incontrandolo pareva molto amareggiato, non si sentiva riconosciuto…
Aveva avuto molte aspettative disattese, puro e schietto com’era, fra discografici e colleghi. E stava subendo l’inizio del crollo del mercato.
Nonché, crediamo, il fatto che se fosse stato inglese o americano avrebbe avuto un successo mondiale: o no?
Era il suo cruccio, però incolpava sé stesso. Aveva avuto occasioni per l’estero ma Pino non lo toglievi da Lagonegro, stare al paese gli era indispensabile.
Non stava lavorando proprio a niente, di nuovo?
Pensava a un musical, aveva mille sogni di brani nuovi ma non ha lasciato canzoni inedite, no. C’è il romanzo, invece: ci ha lavorato cinque anni giorno e notte, manca solo il finale. E non resterà certo nel cassetto. Però bisogna raggiungere l’unanimità in famiglia tra me e i ragazzi, per pubblicarlo…
Filippo e Angelina seguono ancora le orme del papà?
Non hanno mai smesso e penso abbiano talento; io credo, in loro. Ma sono piccoli e giungerà l’ora.
Cosa insegnerà di suo marito il 19 a mille studenti?
Le pieghe della sua vocalità, come vi sperimentava.
E cosa insegnerebbe di lui a giovani artisti?
Il coraggio. Pino partì da Lagonegro portando la sua musica a Roma e Milano e combattendo per anni, dai primi ’70 fino all’affermazione con Lei verrà nell’86. Per un artista il coraggio è irrinunciabile, l’unica strada per un successo vero che poi significa… farsi ascoltare, null’altro.
Intanto varie scuole italiane già omaggiano Mango.
L’Istituto Primario Marconi di Veglie nel Leccese di recente ha adottato le sue poesie a libro di testo: e pure altre, hanno organizzato eventi per ricordarlo.
La sera del 19 a Milano cosa metterete in scena?
Un tributo non l’avrebbe gradito. Sarà un mix di testimoni come Mogol, spettacolo coi Tarantolati di Tricarico per la Basilicata e una sua fiaba inedita, metafora della sua storia d’artista, che s’intitola Da bambino mi piaceva lanciare sassi nel fiume. Un attore la narrerà introducendo i passi della sua carriera, Giorgia ed Eugenio Finardi canteranno La rosa dell’inverno e Oro col suo chitarrista Carlo De Bei e, al basso, l’amico Saturnino.
Poi lei tornerà nel silenzio, per etica del ricordo?
In realtà spero che il movimento d’amore per Pino si amplifichi dopo questi progetti: ora sono pronta.
Ma in questi anni ha mai sentito qualcosa d’inatteso, dai tanti che l’hanno fermata commossi per Mango?
No. E sa perché? Perché aveva una faccia sola, non otto. Quindi della sua arte ho solo buone conferme e l’uomo lo ritrovo com’era. Ha lasciato sempre il suo profumo, Pino: almeno, sa, a Lagonegro si dice così.