martedì 26 gennaio 2021
L’abbondante documentazione conservata negli archivi vaticani, divenuta attingibile un anno fa e portata alla luce da Johan Ickx, cancella le bugie sulla connivenza di Pacelli con la Shoah
Papa Pio XII (Eugenio Pacelli)

Papa Pio XII (Eugenio Pacelli) - Ansa

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«Potenza della lirica, dove ogni dramma è un falso», cantava Lucio Dalla nella sua famosa Caruso. Lo stesso si potrebbe dire per coloro che hanno cucito addosso a Pio XII l’accusa di aver taciuto sulla Shoah. Basta sostituire la lirica con il dramma Il Vicario (in fondo sempre di teatro si tratta) ed ecco che il falso è servito. E un falso di portata così potente che l’influenza esercitata da quella pièce teatrale cambiò completamente la valutazione circa il comportamento del pontefice durante la Seconda guerra mondiale. Poco o nulla valsero, negli anni successivi, gli sforzi degli storici seri per ristabilire la verità. Ma le bugie hanno proverbialmente le gambe corte e dopo lo sprint iniziale devono sempre arrendersi all’invincibile passo da maratoneta dei fatti e dei documenti. Specie quando i documenti vengono da una fonte finora rimasta sub secreto e sono pubblicati dunque per la prima volta.

È questo il principale – ma non unico – merito del libro di Johan Ickx Pio XII e gli Ebrei (Rizzoli, pagine 409, euro 22,00) che in qualità di direttore dell’Archivio storico della Sezione per i rapporti con gli Stati (in pratica il 'ministero degli Esteri') della Segreteria di Stato della Santa Sede, ha potuto consultare e studiare file mai usciti prima e ricostruire così l’intensa attività messa in atto da papa Pacelli e dai suoi più stretti collaboratori per cercare di salvare migliaia di persone di origine ebraica dalle deportazioni naziste. Un affresco di proporzioni quasi michelangiolesche, quello che emerge dai capitoli di questo volume uscito a ridosso della Giornata della Memoria. Con l’autore che manovra la propria penna quasi fosse una macchina da presa, ora con panoramiche su scenari drammatici come ad esempio le violazioni del territorio della Santa Sede perpetrate dalle SS a San Paolo fuori le Mura e a Santa Maria Maggiore nel 1944 (la ferma risposta del Papa fu condotta sempre con il metodo rivelatosi vincente della «diplomazia morbida», messa in atto del resto verso tutte le potenze in campo); ora zoomando sul primo piano delle vicende di singoli e famiglie in cerca di una via di fuga dalla follia hitleriana.

E allora emergono casi come quello dei coniugi Oskar e Maria Gerda Ferenczy, cattolici austriaci d’origine ebraica, emigrati dall’Austria dopo l’Anschluss. A loro favore la Santa Sede, su imput personale di Pio XII, intervenne varie volte anche con un sussidio di 800 lire e persino quando a Rio de Janeiro fu impedito al capofamiglia di sbarcare, ma soprattutto ottenendo per l’intera famiglia il visto per il Brasile, dove poterono rifarsi una vita. Non altrettanto fortunata fu la piccola Maja Lang, una bambina jugoslava alla quale pure la Segreteria di Stato assicurò il ricongiungimento con un fratello più grande che si trovava a Sasso Marconi (Bologna). In seguito fu però deportata ad Auschwitz, così come l’intermediario – Mario Finzi, che riuscì a sopravvivere al lager – il quale aveva scritto al Papa ottenendo il suo interessamento. Ickx ricostruisce tutto con accuratezza, non omettendo neanche il coinvolgimento di alcuni uomini di Chiesa, purtroppo complici dei nazisti. È il caso del presidente slovacco Tiso, addirittura un sacerdote, che in combutta con il fanatico premier Tuka all’inizio avallò la deportazione degli ebrei dalla sua nazione (in special modo le ragazze che venivano inviate al fronte e costrette a prostituirsi ai soldati), salvo poi a rivedere parzialmente le sue posizioni di fronte alle dure e inequivocabili prese di posizione dell’incaricato d’affari del Vaticano, monsignor Burzio, a ciò espressamente preordinato da papa Pacelli. In tal modo fu possibile evitare la deportazione di altre 20mila persone.

Di grande valore anche il capitolo dedicato sia all’amicizia personale tra il Pontefice e il presidente Franklin Delano Roosevelt - i quali tentarono in tutti i modi di impedire l’entrata in guerra dell’Italia, purtroppo senza riuscirvi -, sia ai rapporti non sempre facili della Santa Sede con gli inglesi, grazie ai quali Roma (San Lorenzo a parte) fu preservata dai bombardamenti. Il libro è lo specchio della mole di interventi voluti da Pio XII, coordinati dal segretario di Stato cardinale Luigi Maglione ed eseguiti da alti prelati come lo scaltro e ironico Domenico Tardini e il riflessivo Giovanni Battista Montini (futuro Paolo VI) insieme a tutti gli altri membri di quello che l’autore chiama il Bureau (in sostanza la Segreteria di Stato). «I documenti inediti di Pio XII – scrive Ickx – fanno da contraltare alla falsa narrazione accettata in precedenza da tanti». Il Papa, infatti, «organizzò un rete di vie di fuga per le persone in pericolo e sovrintendeva a una rete di sacerdoti che operavano in tutta Europa con un unico obiettivo: salvare vite ovunque possibile ».

È la cosiddetta lista di Pio XII, cioè la 'serie Ebrei' dell’archivio storico della Segreteria di Stato. Una serie particolare fin dal suo nome (le altre infatti sono intitolate a specifici Paesi), che contiene circa 2.800 richieste di intervento o di aiuto e che attesta quanto la sorte di quella povera gente stesse a cuore al Papa. La serie mostra uno scorcio del destino di oltre 4.000 ebrei, alcuni dei quali battezzati cattolici ma di origine ebraica (ma da un certo punto in poi neanche il battesimo impedì le deportazioni). Le richieste coprono l’arco temporale che va dal 1938 al 1944 e si intensificano negli anni cruciali della guerra. Non sempre fu possibile salvare tutti, ma la 'serie Ebrei' «dimostra oltre ogni ragionevole dubbio – afferma Icks – che Pio XII e il suo staff fecero tutto il possibile per offrire assistenza anche a coloro che professavano la fede ebraica». Con buona pace del teatrale tentativo di falso.

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