Le immagini dei petroglifi probabilmente realizzati da Homo Naledi - BioRxiv / CC-by-4.0
Nel comportamento animale si osservano abilità tecnologiche nella realizzazione e nel funzionamento di strutture che non sappiamo ancora spiegare. Si pensi alla meraviglia delle celle esagonali dei favi delle api. Assai diverso il caso della tecnologia litica o delle incisioni lasciate sulla roccia (petroglifi) dall’uomo della preistoria e protostoria di cui si hanno testimonianze molto antiche in Eurasia e in Africa. Esse cambiano, si perfezionano nel tempo, sono in relazione con la capacità di pensiero e di simbolo propria dell’essere umano. La capacità astrattiva non comincia con Homo sapiens o con i Neandertaliani, come qualcuno afferma, ma con la comparsa dell’uomo sulla terra. La stessa lavorazione progettuale della selce rivela la capacità simbolica dell’uomo a partire dalla industria su ciottolo ( chopper e chopping tools) di Homo habilis di 2,5-2 milioni di anni fa.
È una forma di simbolismo che abbiamo proposto di chiamare “funzionale” e va riconosciuto nell’uomo fin dalle sue origini. Ciò accanto al simbolismo sociale (rappresentato dal linguaggio e dalle varie forme di comunicazione) e a quello spirituale (dimensione etica e religiosa). La tecnologia dell’uomo può rivelare qualcosa che va oltre la funzionalità. I bifacciali del Paleolitico inferiore hanno un rapporto tra lunghezza e larghezza che si avvicina al rapporto aureo ( 0,618) ed esprime armonia. Ciò è stato segnalato da Le Tensorer per i bifaccciali di Konso (Etiopia) di 1,8 milioni di anni fa e viene riconosciuto da molti autori. E neppure mancano nei lunghi tempi del Paleolitico medio, e anche inferiore, ossa o manufatti riferibili a una umanità antecedente i Neandertaliani con segni a carattere simbolico (Bilzinsgleben, Tata, Arcy sur cure, Pech de l’Azé...).
Ma quello che viene segnalato a Naledi, nel Sud Africa, in una grotta vicina a Sterkfontein (località nota per reperti australopitecini in essa trovati nel 1936) è certamente singolare. In alcune cavità del giacimento, dove nel 2015 sono stati messi in luce resti di numerosi individui vissuti tra 241.000 e 335.000 anni fa, sono presenti sulle pareti rocciose incisioni, linee, punti che rivelano un’attività di tipo concettuale simbolico. Si tratterebbe di petroglifi. Essi sono stati segnalati da studiosi guidati da Lee Berger della Università di Witwatersrand. A chi sono da attribuire? Possibili pratiche di carattere funerario? È la grande domanda che si pone, al di là di come si sia formato l’accumulo di ossa trovate nel giacimento. La presenza di questi petroglifi accresce l’interesse delle cavità di Naledi. Viene spontaneo chiedersi se siano da riferirsi all’epoca in cui vissero gli ominidi di piccola capacità cranica, rappresentati dalle numerose ossa trovate nelle cavità di Naledi, o a epoca più recente.
La trascrizione grafica dei petroglifi probabilmente realizzati da Homo Naledi - BioRxiv / CC-by-4.0
Analoghe immagini (petroglifi) su pareti rocciose (oltre che su reperti ossei di animali) sono segnalate in epoca preistorica più recente, in varie località sia in Eurasia che in Africa. Essi rivelano una indubbia attività intellettiva simbolica, connessa in qualche modo con la vita sociale dell’epoca. Ma l’interesse della segnalazione per Naledi è la supposta antichità delle incisioni nell’ipotetica attribuzione a forme presumibilmente umane (pur con qualche aspetto di primitività), come quelle ritrovate nelle cavità del sito. Questi petroglifi restano di non facile interpretazione, al di là del contenuto.
Potrebbero essere coevi con l’umanità segnalata in altre cavità della grotta o riferirsi a tempi più recenti, a prescindere dal carattere simbolico che certamente presentano. Il simbolismo nell’uomo non nasce con l’umanità moderna, con l’arte figurativa o le inumazioni del Paleolitico superiore, ma con l’uomo. E nel simbolismo, che si può riconoscere nelle incisioni (linee, punti sulla pietra o anche sulle ossa), vengono riconosciute le radici del senso religioso nell’umanità preistorica. Questo era il pensiero di Yves Coppens che ha organizzato, con monsignor Sanchez Sorondo, un workshop della Pontificia Accademia delle Scienze nell’ottobre 2021 su questo tema.
La vera sfida delle incisioni sulla roccia segnalate nel giacimento di Naledi è la cronologia e a quale umanità possono essere attribuite, prima ancor del simbolismo in esse nascosto. La loro antichità, il contesto in cui si collocano nel complesso della grotta, il significato che potevano avere nel contesto della grotta e con gli altri reperti in essa ritrovati restano da chiarire. Anche l’uomo preistorico costruiva un suo mondo in cui vivere, pensava e rifletteva sui fenomeni della natura nella ricerca di risposte alle domande che poteva porsi.