Il portiere della Nazionale italiana di hockey su ghiaccio Davide Fadani
Nel 2020 causa Covid non fu giocato, nel 2021 andò in scena con formula ibrida, senza retrocessioni e con squadre zeppe di giovani. Stavolta il Mondiale di hockey su ghiaccio torna al suo format normale, ma si porta dietro gli effetti del conflitto in Ucraina. Russia e Bielorussia estromesse dalla contesa e cambio di sede in quel di Helsinki, una delle due città teatro dell’evento insieme a Tampere: niente innovativa e avveniristica Hartwall Arena, giacché di proprietà russa, ma spazio alla tradizionale e storica Ice Hall. Proprio nella capitale finlandese il Blue Team guidato dal coach canadese Greg Ireland comincerà oggi il suo percorso con un unico obiettivo: restare nella serie A dell’hockey mondiale.
Per farlo occorrerà mettersi alle spalle almeno un’avversaria del girone: Kazakistan e Francia saranno le rivali dirette. Decisamente molto duro invece il primo impegno odierno contro la Svizzera. Proprio nel campionato rossocrociato milita uno dei soli due azzurri di città: in una rosa composta perlopiù da giocatori del nord-est e qualche oriundo spicca infatti il meneghino Davide Fadani, classe 2001 e attuale portiere del Lugano.
Nato a Milano, cresciuto ad Abbiategrasso, ha cominciato a pattinare a 3 anni, esplorando l’hockey nelle giovanili nel glorioso team cittadino dei Vipers. A 14 anni l’episodio che gli ha cambiato la vita: il trasferimento oltreconfine per cominciare l’avventura col Lugano. Per quattro anni è stato un pendolare transfrontaliero: scuola al li- ceo Torricelli di Milano e allenamenti nel Canton Ticino, con i genitori a sobbarcarsi l’onere del trasporto. Sacrifici che sono stati ripagati al compimento della maggiore età, quando Fadani ha firmato il primo contratto da professionista.
Da lì in poi l’ascesa è stata graduale: l’esordio nella serie A elvetica è avvenuto a fine 2020, mentre nell’ottobre scorso Davide ha vinto da titolare il sentitissimo derby del Ticino, quello che oppone Lugano e Ambrì Piotta. «In Svizzera ho coronato il sogno di essere un hockeista per mestiere. Lì questo sport viene seguito come il calcio in Italia». Parola di un aitante ventunenne che ogni partita deve parare dai 30 ai 40 tiri. Per farlo è vestito in maniera diversa rispetto ai suoi compagni: «Tutto è più grande, dai gambali alla corazza, fino al casco, passando per i pattini ». Specifici per il portiere sono anche la stecca e i due guantoni: «Uno è lo scudo, che serve per impugnare il bastone e respingere il disco, l’altro è la pinza, la cui funzione è bloccare il disco».
Non è per niente noiosa la vita a difesa dei pali, soprattutto per chi ambisce a difendere la porta azzurra nei Giochi olimpici casalinghi: «Quando ho cominciato non avrei mai immaginato di poter avere questa opportunità. Ora che si sta avvicinando sono conscio che da qui al 2026 dovrò dimostrare il mio valore per conquistarmi il posto». L’occasione a cinque cerchi è anche un’opportunità per Milano di ridiventare un centro di riferimento per l’hockey italiano: «Lo spero vivamente perché sono sicuro che in città ci sia voglia di riportare in auge i fasti del passato. Le Olimpiadi possono essere l’occasione giusta per incrementare la base milanese».
E proprio la storia di Davide potrà essere di esempio per chi vorrà intraprendere la strada dei pattini e del bastone: «Sono felice perché mi diverto sul ghiaccio facendo ciò che mi piace. Il segreto del successo è credere semplicemente nei propri mezzi». Oggi al Mondiale, domani, chissà, ai Giochi. Sempre con un bastone in mano e un disco da neutralizzare.