Il 12 marzo del 2000, anno giubilare, il beato Giovanni Paolo II celebrava in San Pietro un solenne rito penitenziale dal contenuto per certi versi inedito. In esso si implorava a Dio il perdono per i peccati commessi dalla Chiesa durante la sua storia bimillenaria: perdono per le persecuzioni o l’emarginazione degli Ebrei, per le deviazioni dal Vangelo, per l’intolleranza e la violenza contro i dissidenti, per le colpe nei confronti dell’unità della Chiesa, per le ferite inflitte alla pace, alla giustizia sociale, alla dignità della persona, ai diritti dei popoli, al rispetto delle culture e delle altre fedi, e per tutte le prevaricazioni perpetrate a livello pratico e ideale. Ebbene, se a quest’ultimo proposito l’emblema rimane il "caso Galileo", dobbiamo però riconoscere che una prevaricazione più modesta, ma non per questo meno sanguinante spiritualmente, potrebbe essere individuata anche nel "caso Fogazzaro", figura di intensa fede e passione ecclesiale che, come è noto, si trovò immesso in quel flusso religioso e culturale, ora ardente ora turbolento, che va sotto il nome di "modernismo". Non dimentichiamo che lo scrittore vicentino dagli interessi molto variegati (non esiterà neanche a confrontarsi con le teorie evoluzionistiche) morì il 7 marzo 1911 nell’ospedale della sua città, senza apprendere che persino quel suo ultimo romanzo,
Leila, pubblicato l’anno precedente e destinato nelle sue intenzioni a diventare una sorta di ritrattazione, veniva implacabilmente posto all’Indice dal Sant’Uffizio. L’aspirazione al rinnovamento della Chiesa, all’incontro tra cultura e fede, all’elaborazione di un pensiero e di una prassi pastorale più in sintonia coi tempi pur nella fedeltà alle sue matrici, aveva alimentato l’intera sua esistenza e quella del suo grande amico Tommaso Gallarati Scotti, che a Fogazzaro dedicherà appunto una biografia anch’essa colpita dalla mannaia della condanna all’Indice nello stesso anno (1920) della sua pubblicazione.A margine di tutto questo, la mia vuol essere solo una limitata testimonianza personale, legata all’incarico – da me espletato negli anni 1989-2007 – di Prefetto della Biblioteca Ambrosiana. In quella sede, infatti, è custodito un fondo di particolare rilievo, quell’Archivio Gallarati Scotti al cui interno una sezione è riservata esplicitamente alle "Carte Fogazzaro", comprendenti manoscritti autografi, corrispondenza, sempre autografa, dello scrittore, compresa quella indirizzata all’amico (soprattutto negli anni 1898-1910), altra corrispondenza generale, memorie, scritti a stampa, documenti, carte e opuscoli di genere vario. Il legame umano e spirituale tra il duca e lo scrittore ebbe come fondale proprio gli spazi solenni dell’Ambrosiana, allora retta da Achille Ratti, il futuro Pio XI, nominato Prefetto l’8 marzo 1907 e rimasto in carica fino al 26 settembre 1914. Vorremmo riservare un cenno alle vicende che fecero incrociare tra loro figure così importanti della cultura di quel periodo, dando origine a una sorta di cenacolo ideale. Il punto di partenza fu l’iniziativa editoriale della rivista
Il Rinnovamento la cui direzione fu affidata collegialmente ad Antonio Ajace Alfieri, Alessandro Casati, Tommaso Gallarati Scotti e, successivamente, a Uberto Pestalozza, mentre attorno si delineava un orizzonte di simpatizzanti molto vasto e qualificato (Paul Sabatier, George Tyrrell, Alfred Loisy, Romolo Murri, Ernesto Buonaiuti, Giovanni Semeria, Friedrich von Hugel). A costoro si accostò appunto Antonio Fogazzaro, erede della tradizione cattolico-liberale e interprete dei fermenti che si stavano allora sviluppando nella società e nella cultura.La rivista, pur dichiarandosi laica e aconfessionale, poneva il cattolicesimo come base della propria ricerca, affermando che nel mutato clima culturale l’unica apologetica possibile era ormai la ricerca stessa. Il cristianesimo è vita e non può essere rinchiuso in sistemi intellettuali "definitivi"; ogni concezione religiosa che pretendesse di legare la fede a determinate dottrine filosofiche e sociali sarebbe falsa in radice. L’interrogativo fondamentale verteva, dunque, sulla capacità del cristianesimo di «assimilare» il «rinnovamento universale» del pensiero scientifico, per non pregiudicare la fede di migliaia di coscienze. Al motivo del primato della coscienza si ricollegavano altri temi fondamentali: la distinzione tra Rivelazione ed elaborazione teologica come premessa di una libera ricerca scientifica; la posizione del laicato nella Chiesa; il rapporto tra Stato e Chiesa con il richiamo ai valori interiori come condizione di un autentico rinnovamento politico e il rifiuto di ogni "confusione" che potesse degradare la religione a strumento della politica; l’esigenza di libertà e di giustizia sociale da fondere nella visione di una democrazia autenticamente ispirata ai valori genuini del cristianesimo. Sono note le reazioni che seguirono ai primi passi del
Rinnovamento: al di là del pronunciamento più generale dell’enciclica
Pascendi (16 settembre 1907), il Prefetto della Congregazione dell’Indice, cardinale Andrea Steinhuber, bollò in un articolo sull’
Osservatore Romano la rivista come «notabilmente opposta allo spirito e all’insegnamento cattolico», appellandosi all’arcivescovo di Milano, cardinale Andrea Carlo Ferrari, perché si cancellasse un’impresa «tanto nefasta e indegna».Non è nostro compito ora ricostruire la replica del gruppo, le mediazioni fallite del Prefetto dell’Ambrosiana Ratti, la scomunica che fu comminata la vigilia di Natale del 1907, vissuta da Gallarati Scotti con amarezza ma – come scriveva proprio a Fogazzaro in una lettera del 2 gennaio 1908 – «con la certezza che Cristo potrà comunicarmisi per il desiderio immenso che ho di lui e per la tranquillità di coscienza con cui affronto questo momento tragico della mia vita religiosa». Da quel momento, sia pure con ponderazione, iniziò per lui un percorso di distacco dalla rivista (che cessò dopo due anni) e un itinerario verso altre esperienze culturali e politiche, senza però interrompere la rete delle amicizie e degli impegni sociali. Fu in quella fase che Gallarati Scotti intraprese il progetto e la realizzazione della
Vita di Fogazzaro.A questo punto, compiendo un salto cronologico enorme, giungiamo agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, quando si delineò Il desiderio di costituire «un Archivio contenente documenti e lettere relative al movimento religioso chiamato "Modernismo"», come Gallarati Scotti annunciava a Uberto Pestalozza il 18 marzo 1963. E qui la mia testimonianza è appunto quella di essere stato custode ufficiale di quel fondo per l’arco di tempo della mia prefettura all’Ambrosiana. Oltre a tutti «i documenti del lungo travaglio della mia vita», oltre alle carte del «Santo vescovo Bonomelli», il duca introduceva anche le "carte Fogazzaro" che sopra abbiamo descritto, mentre successivamente si sarebbe aggregato anche il fondo documentario di Alessandro Casati. Il 22 febbraio 2001 io ebbi, poi, l’onore di unire all’Archivio Gallarati Scotti l’epistolario di Uberto Pestalozza composto di ben 3492 documenti di grande interesse (la sua biblioteca era già stata donata dagli eredi all’indomani della morte del professore). E particolarmente significativo – anche per registrare il mutamento dell’atmosfera ecclesiale – quanto il cardinale Amleto Cicognani a nome della Santa Sede scriveva a Tommaso Gallarati Scotti il 2 luglio 1965, sotto il pontificato di Paolo VI: «L’Augusto Pontefice, a Cui non sfugge il valore di codesti documenti, così importanti per la storia religiosa del primo Novecento – per i rapporti da Lei intrattenuti, con tanto interesse e pensosa sensibilità per i problemi spirituali, nei confronti di eminenti figure rappresentative della cultura, dell’arte, della diplomazia italiana e straniera – ha accolto con vivo compiacimento il filiale annuncio». Questa mia testimonianza marginale su figure così alte della cultura del Novecento e sul loro travaglio intellettuale e spirituale vuole essere solo uno stimolo a ripercorrere quelle vicende e soprattutto l’incontro tra due personalità straordinarie come furono Tommaso Gallarati Scotti e Antonio Fogazzaro. Un itinerario che può gettare luce anche sul nostro presente ecclesiale e sociale, ben più modesto ma segnato da analogie con quel glorioso passato, nella consapevolezza di quanto acutamente scriveva Giorgio Pasquali nella sua raccolta
Filologia e storia (1920): «Chi non ricorda non vive».