Don Lorenzo Milani (1923-1967) tra i suoi ragazzi a Barbiana - archivio
Il 27 maggio ricorre il centenario della nascita di don Lorenzo Milani. Il volume Lettere, curato da Michele Gesualdi per San Paolo (pagine 366 euro 20,00), raccoglie le 140 lettere dal 1950 al Testamento spirituale: pagine importanti per capire la sua opera e le ragioni delle sue scelte. Anticipiamo uno stralcio della prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi.
Papa Francesco a Barbiana il 20 giugno del 2017 ha reso con solennità e familiarità omaggio a don Lorenzo Milani, «che ha testimoniato come nel dono di sé a Cristo si incontrano i fratelli nelle loro necessità e li si serve, perché sia difesa e promossa la loro dignità di persone, con la stessa donazione di sé che Gesù ci ha mostrato, fino alla croce». Non era e non è scontato. Riconosceva un testimone che era stato oggetto di tanta diffidenza e aiutava tutti a vedere, anche nel senso di comprendere il valore al di là di stereotipi e semplifi cazioni, la sua profondità umana e radicalità evangelica. Don Milani ha sempre suscitato forti discussioni, giudizi negativi, a volte irridenti, spesso non è stato compreso per il suo modo diretto, abrasivo, alla ricerca della verità, senza paludamenti ecclesiastici o salottieri, rigoroso fino alla fine verso sé stesso e verso gli altri. Non doveva "piacere" ma comunicare una passione. Non si adattava all'interlocutore, non "rispettava" secondo un ipocrita parametro individualista, ma rispettava i suoi ragazzi, la necessità di cambiare il mondo, il diritto di avere opportunità altrimenti negate, la difesa dei più poveri. E tutto questo iniziava chiamando le cose con il loro nome. Questo a qualcuno appariva ingiusto ed eccessivo. La professoressa destinataria della famosa Lettera avrà avuto le sue ragioni e giustificazioni. Molte non si saranno sentite capite da don Milani. In realtà la Lettera continua a farci male, ad aprire gli occhi, indicando con la chiarezza della verità e senza giustificazioni la scelta da compiere. Certo il destinatario non è solo la "professoressa" ma siamo tutti noi che ci dimentichiamo in tanti modi – eleganti o rozzi, intelligenti o ignoranti, muniti di tutte le istruzioni per l'uso e di statistiche per valutare i problemi o figli di slogan da bar che troppo spesso diventano programmi politici – di quelli che semplicemente non vediamo più, che diventano un numero, dei quali diciamo che "è colpa loro", "abbiamo fatto il possibile", "troverà la sua strada" o semplicemente non diciamo nulla. L'intransigenza assoluta di don Milani ci ripropone con la sua chiarezza i loro nomi e i loro diritti, per capire da che parte sta lui e dove quindi dobbiamo stare noi, senza sconti, come deve essere, senza aggiustamenti o equidistanze false e ingiuste. Sarebbe valida anche per noi l'ingiustizia di fare, magari con scrupolo e correttezza le parti della torta tutte uguali tra chi però non è uguale! Per certi versi ricorda l'attenzione al colesterolo con cui pensiamo di essere a posto in un mondo ridotto a ospedale da campo! Abbiamo fatto quello che dovevamo o non abbiamo proprio capito cosa dovevamo fare? Lo "zelo" di don Milani ci porta a una chiarezza che motiva una scelta e ci libera da un'osservazione in sostanza borghese della realtà, distante, che non sente più il freddo e il caldo della storia, che non sa piangere sulla tragedia dei poveri, che si accontenta di organizzare servizi o più facilmente di garantire il benessere al privato, vero dittatore delle nostre scelte. Altrimenti tutto diventa uguale, ognuno con le proprie ragioni e in realtà con nessuna ragione, perché l'unica ragione è la giustizia, la difesa del futuro, dei ragazzi, della dignità della loro vita e la lotta appassionata per garantire quello che gli è negato. Non dobbiamo difenderci dal suo messaggio appassionato, svuotarlo riducendolo a esortazione, ma aprirci al suo contenuto. Siamo facilmente esteriormente attenti ai modi. Quelli di don Milani sono duri, senza equivoci, eccessivi per questo. È proprio la loro forza. Don Lorenzo ci ricorda la necessità di scegliere una parte e non tutte, altrimenti non se ne sce- glie nessuna. Ci chiede, poi, di farlo con libertà ma con tutto noi stessi, senza riservarsi vie di fuga, perché altrimenti non si ama. Chiede amore, non volontariato o impiego! Solo così si può comprendere la sua scelta di essere maestro, la sua visione dell'educatore, l'impegno a fare scuola. Quello che alcuni giudicavano lo strampalato hobby di un prete ricco, di un benestante che giocava a fare il povero o di uno che era rimasto troppo laico, rivelava in realtà un'incomprensione di fondo: non esiste l'amore universale! L'amore è sempre parziale o per lo meno si esprime con la preferenza verso qualcuno perché solo successivamente può amare tutti. Il suo era un amore totale. Può essere altrimenti? Cosa succede nei nostri legami che debbono essere affettivi (che amore è un amore "non affettivo"?) e cosa diventa la Comunità quando l'amore è ridotto a simbolo, a una dichiarazione, a un'interpretazione? Per don Lorenzo non c'era distinzione tra quello che è per la scuola, la sua comunità e quello che era suo, personale. Milani dava ai ragazzi quello che era stato suo e che era dei ricchi – motivo per cui i ricchi sarebbero rimasti tali e i poveri sempre esclusi. Voleva che i suoi ragazzi conoscessero il mondo senza nessuna subalternità, non per sentito dire. Lo faceva senza paternalismo (era un padre non un dispensatore distante di qualche consiglio!). Il mondo a Barbiana e Barbiana il mondo. In epoca di provincialismo impaurito, di localismo pigro e incapace di collocarsi nel grande mondo, Barbiana, che è piccolissima, quasi una miniatura, diventa al contrario punto di incontro universale, dove tutti gli alunni che abbandonano la scuola, che sono costretti a essere esclu- si dalla parola trovano un nome, una storia, la passione che li educa, il merito che c'è in ognuno di loro e che la scuola valorizza. Altrimenti il rischio è che il merito diventi esclusione e non giustizia. Il merito è per tutti, non nel senso che a tutti è garantito allo stesso modo (è l'errore tragico del "sei politico") ma che per ognuno è garantito un investimento umano tale da fare tornare il "talento" nascosto. Barbiana illumina e rende possibili tutte le Barbiane del mondo, dove una persona vale per quello che è e trova chi valorizza il dono che è ognuno [...]. La sua ricerca è radicale, senza vie di mezzo. Possibile, anzi indispensabile, per chi ama. Si può educare senz'amore? «Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire», dissero di lui. La sua radicalità è molto concreta, fisica: stare dalla parte dei poveri, insieme a loro, fino in fondo, perché il Vangelo non chiede qualcosa, quello che avanza, ma tutto, il meglio, amando gli altri e i poveri, per come sono e non per come vorremmo fossero. Ricordiamo che non è radicale don Milani, ma il Vangelo che non è affatto il compromesso a ribasso, la misericordia invecchiata, i rituali interni scossi dalla sua intransigenza. Il suo era un Vangelo senza compromessi, anti- borghese, obbediente, ma libero. Un Vangelo sine glossa. Altrimenti cosa diventa? «Quando ci si affanna a cercar apposta l'occasione di infilar la fede nei discorsi, si mostra di averne poca, di pensare che la fede sia qualcosa di artificiale aggiunto alla vita e non invece modo di vivere e di pensare», aveva scritto in Esperienze pasto- rali. «Non bisogna essere inter- classisti ma schierati». Senza timore di chiarezza, anche di scon-tro, se necessario. «Combattivi dunque bisogna essere, cioè schierati, e l'unico dovere che resta è di non trascurare le occasioni come quella che abbiamo avuto ieri di scontrarsi coi nemici per accorgersi che singolarmente meritano pietà. Ma ho detto scontrarsi e non incontrarsi, perché una patetica stretta di mano inneggiando all'amore universale e avendo cura di non toccare tasti delicati e argomenti scottanti non rimedia nulla e non è nemmeno onesta. E ho detto: "per accorgersi che singolarmente meritano pietà", e non ho detto: "per proporsi di non scontrarsi mai più"». Insomma: non cercava affatto di accarezzare fintamente l'io, ma di coinvolgere la persona nella passione per Dio e per l'Uomo, da prete e da maestro, sempre da uomo vero, come deve essere un cristiano. «Cosa ve ne fate di quel consenso di simpatia? Cosa volete che resti? Non ha sconvolto i sonni, l'appetito a nessuno. Bisogna fare lavorare la grazia. Io al mio popolo gli ho tolto la pace. Non ho seminato che contrasti, discussioni, contrapposti schieramenti di pensiero». La sfida vera è proprio questa. L'unica preghiera che ho trovato di don Lorenzo era per i ragazzi di San Donato, ma certamente è una sintesi per tutti noi, una proposta, decisa, libera, appassionata, in un tempo di sentimenti modesti e fintamente equilibrati. «Signore, io ho provato che costruire è più bello che distruggere, dare più bel che ricevere, lavorare più appassionante che giocare, sacrificarsi più divertente che divertirsi. Signore Gesù fa che non me ne scordi più». Sì, don Lorenzo ci aiuta a non scordarcene, che costruire è più bello che distruggere e lavorare più appassionante che giocare. Di più, molto di più. Solo così si è se stessi, padroni di sé, cristiani, costruttori di futuro. I care.