venerdì 28 settembre 2018
Il grande pittore francese, che per molti fu il padre del realismo, è al centro di una mostra che esamina il suo rapporto con la natura e il paesaggio. Ma l'impostazione è un po' scontata
Gustave Courbet, "La quercia di Flagey" (1864)

Gustave Courbet, "La quercia di Flagey" (1864)

COMMENTA E CONDIVIDI

L'idea magnifica dev’essere stata subito scartata: costretti a pagare il dazio per una mostra, quella appena inaugurata a Palazzo dei Diamanti a Ferrara (fino al 6 gennaio 2019), che ha ottenuto tanti prestiti stranieri, molti dalla Francia, ma anche da Washington (il più intrigante, La sorgente della Loue del 1864, mondo sotterraneo e quasi un oltretomba dell’Isola dei morti di Böcklin, che certamente ne prese visione, cui rimanda anche la luce lunare nel Castello di Chillon del 1876); e poi NewYork, Hartford, Saint Louis, New Haven, Fort Worth, Dallas, Ginevra, Londra, Cambridge, Liverpool, Bristol, Edimburgo, Francoforte, Monaco, l’Aia, Rotterdam, Bruxelles... Nessun prestito italiano, così mi pare, nemmeno quella tela che il ministro Franceschini fece acquistare nel 2017 da un collezionista milanese e oggi depositata alla Galleria d’arte moderna di Roma, La vague del 1871, che raffigura una marina con due rocce in primo piano (non un capolavoro assoluto, ma certamente intonato al tema della mostra che indaga il rapporto del pittore con la natura e il paesaggio). Insomma, esposizione impegnativa, prestiti anche importanti, curatori e saggisti per lo più espressione delle istituzioni da cui provengono le opere.

La sostanza della mostra è tutta qui e ci si domanda a chi sia venuto in mente di farla. Soprattutto: perché a Ferrara? I saggi in catalogo sono oneste riletture di questioni ampiamente studiate, con qualche deroga dai confini, come nel saggio iniziale dello scrittore inglese Julian Barnes, che lega implicitamente natura, donna ed erotismo in quella che Giovanni Testori, per una mostra a Torino del 1988, chiamò Mater-Materia, da intendersi come corrispondenza fra madre e ciò che riceve la forma. Barnes, in particolare, torna sul quadro “scandaloso” riemerso dall’ombra nel 1995 quando, per pagare i diritti della successione Lacan, gli eredi dello psicoanalista lo cedettero allo Stato che da allora lo espone al Museo d’Orsay: parlo dell’Origine del mondo, un corpo femminile nudo senza volto che mostra i genitali. Quadro carico di significati e di cui da qualche giorno si conosce anche l’identità della modella che prestò all’artista il suo corpo: non sarebbe Jo la Rossa, l’avvenente moglie irlandese del pittore Wistler, che quando questi si recò a Valparaiso per la guerra ispanocilena, ebbe una relazione con Courbet (che la ritrasse in vari quadri); si tratterebbe invece di Constance Quéniaux, un’ex ballerina dell’Opéra che non ebbe fortuna, finì per prostituirsi, ma poi risalì la scala sociale e fu anche la cortigiana di Khalil-Bey, il diplomatico ottomano che aveva commissionato a Courbet il dipinto. Questo è quanto ha potuto scoprire il ricercatore francese Claude Schopp studiando le carte di Dumas figlio e ne dà conto in un saggio di prossima pubblicazione L’Origine du monde: Vie du modèle. Thierry Savatier, il maggiore studioso della storia di questo quadro, aveva fatto qualche anno fa l’ipotesi non del tutto peregrina che quel corpo dipinto, che soltanto in seguito prese il titolo L’origine du monde, rappresentasse una donna gravida. Idea suggestiva ma difficile da provare.

Comunque sia, quel quadro è certamente un buon appoggio per interpretare l’orizzonte nel quale la natura diventa per Courbet la carne stessa del mondo, e quindi si può a ragione parlare di Mater-Materia. Come ho avuto occasione di scrivere recentemente a proposito del quadro di Courbet, la ragione per cui l’Origine du monde va oltre le più raffinate obscénités, un tipico prodotto della misoginia erotica borghese, e sfiora soltanto quel limite superato il quale avrebbe potuto diventare un’opera pornografica, sta in ciò che il filosofo cattolico Jean-Luc Marion, parlando di questo dipinto, chiama «ispessimento della realtà» che consente all’Io di guardarla «senza farne una rappresentazione», un fenomeno che trova il proprio principio di esistenza nella pittura stessa che lo rende presente. In effetti, l’Origine du mondenon è un joujou per guardoni (come spesso succede tuttavia al d’Orsay) o, come la Venere dei medici del Susini, che secondo Georges Didi-Huberman è la rappresentazione di un meraviglioso, perturbante e perverso giocattolo per uomini di scienza.

Ancora Marion spiega che il quadro di Courbet non è una immagine pruriginosa, ma il luogo pittorico «dove la carne invade tutta la scena»: Mater-Materia, ancora. Detto questo, la fragilità dell’ipotesi espositiva coordinata da Maria Luisa Pacelli, direttrice di Palazzo dei Diamanti, si coglie anche nella concezione del catalogo (che tra l’altro ha spesso immagini stampate molto male, grigie o scure anche là dove Courbet diventa chiaro, vedi per esempio Bassa marea a Trouville del 1865): perché infatti collocare al centro del volume un’antologia della critica italiana, dal 1870 al 1988, curata da Barbara Guidi, ma non dar spazio a un confronto in mostra con opere di artisti italiani che si sono ispirati al realismo, al naturalismo e al materismo di Courbet? Il vero atto di coraggio sarebbe stato questo: aprire il catalogo con quest’antologia, far seguire un’adeguata (ma non esagerata, com’è in realtà) sequenza di saggi critici meno convenzionali sul pittore francese e concludere con una ipotesi forse ancor più impegnativa: Courbet e Monet, due vie alla modernità e all’informale.

Questa idea prende spunto dall’impostazione che Francesco Arcangeli dava alla sua monografia su Courbet nel 1956 mettendogli di fronte Monet, e accomunandoli nelle definizioni di Ingres e Cezanne: «Quel giovanotto è un occhio» disse il pittore neoclassico a proposito di Courbet; Cezanne riprese il discorso esclamando: «Monet non è che un occhio, ma buon Dio che occhio!». Di Courbet invece disse: «Il suo contributo è il lirico apparire della natura». Non dovremmo mai guardare Courbet come un volgare epicureo e neppure come un sostenitore della pittura politica: pur partecipe della Comune, pur sentendosi rivoluzionario (era anche un po’ sbruffone) sono passati questi tempi che avevano nelle falsificazioni ideologiche le loro armi critiche. Il realismo socialista con Courbet c’entra ben poco. Arcangeli, che nel dopoguerra cominciò a delineare l’orizzonte degli “ultimi naturalisti”, risaliva a entrambi, a Courbet e a Monet, anche se la sua preferenza era per il secondo e il periodo finale di Giverny (i primi ad accorgersi di lui come precursore dell’espressionismo astratto furono appunto i pittori americani).

Sarebbe stato dunque un contributo di studio più proficuo per comprendere le linee su cui si è mossa l’arte nei primi due decenni del dopoguerra, senza nulla togliere credo alle seduzioni che attirano i turisti dell’arte che si drogano di impressionismo. Quadri come La valle della Loue sotto un cielo tempestoso del 1849, Paesaggio di Ornans del 1855-’60, Cascata della Pissouse del 1860, Il ruscello del 1855, La grotta Sarrazine, le due versioni della Sorgente della Loue e La roccia sgretolata, tutte del 1864, o ancora le onde e le marine che dipinge tra il 1869 e i primi anni Settanta dell’Ottocento, hanno al loro interno intere zone dove l’arte di Courbet si consegna alla felicità della pitturapittura, alla libertà della forma che possiede al tempo stesso matericità e autonomia visiva. Ho citato all’inizio La sorgente della Loue di Washington. Quadro arcano, dove nemmeno le luci della luna hanno accesso, una bocca di caverna che, come le varie tele della sorgente Sarrazine, parlano della notte in cui vaghiamo, come sulla barca di Caronte, in cerca della luce; ma anche come se provassimo nostalgia per la caverna dell’origine o per il grembo materno da cui uscimmo. C’è, in questa visione, un legame col corpo femminile come entità misteriosa, che attrae e spaventa, dove si vorrebbe tornare ma, al tempo stesso, è sentito come prigione. Così le osservazioni di Barnes sull’Origine del mondo ci ricollegano a questo sentimento di Courbet per la natura madre e matrigna, dove il ciclo vitale ha anche le sue leggi ferree e crudeli, che l’uomo crede di dominare, per esempio, attraverso la caccia, come si vede nella sezione conclusiva della mostra, dove svetta l’inquietante “ombra” del Cacciatore a cavallo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: