David Scott, "Cain Degraded (Remorse)", 1831. Particolare - WikiArt
È difficile parlare di perdono, soprattutto quando subiamo un torto irreparabile. Di fronte a un’offesa, cerchiamo innanzitutto di fare giustizia, in modo da ricompensare il torto subito, o addirittura rispondiamo con gesti la cui gravità è destinata a intensificarsi di volta in volta. Chi di noi, infatti, di fronte a una violenza subita, non è stato tentato di rispondere con una "ritorsione" ancora maggiore? In questo senso, la celebre legge biblica del taglione, «occhio per occhio dente per dente», cerca di porre un limite alla spirale della violenza con l’equivalenza "retributiva" tra torto subito e pena da infliggere.
All’origine della storia umana, la Bibbia pone un evento tragico: Caino, il primogenito, uccide Abele, il minore. Certo, i due fratelli sono molto diversi. Caino è un contadino, mentre il secondo è un pastore, il cui nome Abele, hebel, soffio, suggerisce un senso di evanescenza, di fragilità, come se qualcuno dovesse prendersi cura di lui. Di fatto, lo sguardo divino si posa su quest’ultimo, senza che il testo chiarisca le ragioni. Così, Dio accoglie nel culto in maniera differente le loro offerte, i frutti per Caino e le primizie del gregge per Abele: il primo è guardato in maniera sfavorevole rispetto al secondo. La relazione dei due fratelli s’incrina, la situazione precipita. Caino soffre, si sente umiliato e offeso, sente rancore e rabbia, non può accettare questa disparità di 'trattamento'. Se Dio è giusto e buono, perché fa delle preferenze? Caino uccide allora il fratello.
La fraternità si rivela sin dagli inizi della storia fragile, incerta e nasce da una dolorosa scoperta: mio fratello si rivela a me come nemico… Che cosa farà allora il Signore? Punirà l’omicida in maniera esemplare? No.Se Dio chiede in un primo tempo a Caino «Dov’è Abele, tuo fratello? » e poi «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!», come per fargli prendere coscienza dell’orrore compiuto, in un secondo momento lo condanna duramente: «Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. (…) ramingo e fuggiasco sarai sulla terra».
Caino diventa nomade e sarà costretto a farsi fuggiasco sulla terra, a nascondersi da Dio, sapendo bene che nessuno può sottrarsi alla sua vista, ma anche dagli altri perché chiunque lo potrà uccidere. Caino fugge, ma prima di tutto da se stesso, dalla colpa dell’omicidio compiuto.
La sua è forse solo una morte differita se, come dice il libro dei Proverbi, il malvagio fugge anche quando non lo inseguono? Dio è Padre e non vuole la sua definitiva condanna. Non agisce come un giudice impassibile, ma lo invita a rientrare in se stesso, per fargli comprendere la "bestialità" del suo gesto. Non solo, si preoccupa del figlio contro possibili violenze che potrebbe subire, così che dopo l’uccisione di Abele: «Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato». Dio gli impone un sigillo, perché nessuno gli si possa scagliare contro. «Nessuno tocchi Caino » vuol dire giustizia senza vendetta, desiderio che il 'carnefice' converta la sua risposta disperata: «Sono forse io il custode di mio fratello?», in una consapevolezza della gravità del gesto compiuto, in un prendersi cura di se stesso e in un’assunzione di responsabilità verso l’altro.
Dio vuole salvarlo, accompagnandolo in questo sofferto cammino di redenzione. Certo, Caino ha gettato un seme di maledizione nella storia e come un disgraziato accecato dal proprio dolore, sarà errante, la sua esistenza sarà esposta alla vendetta di chiunque. Tuttavia, gradualmente, dovrà imparare che lo sguardo di Dio non è né persecutorio né punitivo, ma attento, premuroso. Il figlio deve ritrovare la vita, nella fiducia.
Certo, l’amore di Dio è ferito, ma è fermo e tenace. Al Signore preme che Caino viva. La posizione di Dio è paradossale. Da un lato, s’identifica con Abele, facendosi grido soffocato del fratello ucciso, dall’altro lato s’identifica con Caino, prendendosi cura di lui, custodendolo, non lasciandolo solo nel suo vagabondaggio. A Caino è lasciata la possibilità di intraprendere un percorso di umanizzazione, guadagnandosi la fiducia dell’altro. Solo se Caino assumerà il tragico del delitto commesso ed elaborerà la sua colpa gli sarà accordato un perdono, ma una strada gli è ora aperta.
Dio sta contemporaneamente da entrambe le parti. Difficile equilibrio, paradossale, per noi insostenibile, in quanto presuppone la libertà di un amore disinteressato. Com’è possibile che Dio faccia giustizia del sangue di Abele, prendendosi cura del carnefice e della sua discendenza? Se Dio si fa custode dell’omicida, non è forse questo il culmine dell’ingiustizia? Il perdono nasce da questo sguardo di Dio che ascolta il grido di dolore della vittima e contemporaneamente desidera che il carnefice viva, per un nuovo inizio.
È questa una strada complessa, ma che permette a Caino di uscire dal ruolo di "omicida" per diventare persona nuova. In questo senso, la cultura del perdono si genera dallo sguardo del Padre. Dio desidera che Caino sollevi il proprio sguardo errabondo dalla terra, perché, volgendo il suo volto verso di lui, possa ritrovare quello di Abele. Il perdono 'avviene' grazie all’incontro di questi due sguardi. Caino potrà ricominciare una nuova vita, facendosi anch’egli simile al volto di Dio, custodendo nel cuore lo sguardo del fratello. Il suo volto non s’identificherà allora semplicemente con la storia di un omicidio, per quanto tragico, ma saprà esprimere un desiderio di riscatto che si fa vita. Diventerà sguardo redento.
La cultura del perdono non può fare a meno dell’incontro di questi sguardi che nel volto del Padre trovano la possibilità di ritrovarsi. È questa la strada della libertà che, oggi più che mai, può costruire nuovi spazi di vita in una società che per fare 'giustizia' rischia di distruggere sia la vita delle vittime che quella dei carnefici. Dio ascolta il grido di sangue di Abele che sale dalla terra, e riconquista lo sguardo di un uomo nuovo, quello di Caino. Desiderare la 'morte' del carnefice, sarebbe dichiarare solo la vittoria della violenza, la sconfitta del nostro essere uomini. Davanti a noi, deve aprirsi la vita.