I Baustelle, da sinistra Rachele Bastreghi, Francesco Bianconi e Claudio Brasini - Foto di Alessandro Treves
Ritratti umani toccanti, sferzanti critiche sociali, la disperata visione di un vuoto cosmico e, insieme, una profonda nostalgia di senso. Il tutto a ritmo di rock’n roll, blues e gospel. I Baustelle sono tornati a cinque anni dal loro L’amore e la violenza, vol.2 con sonorità nuove, più concrete e dirette, come pure i loro testi, nel nuovo album Elvis in uscita il 14 aprile per Bmg. «Elvis è una rifondazione. Ci saremmo probabilmente sciolti se non avessimo deciso che era ora di tornare a suonare con modalità nuove, musicisti nuovi, squadra di lavoro rinnovata. Avevamo bisogno di nuovi stimoli ed eccitazione creativa e le abbiamo trovate» racconta Francesco Bianconi, direttore del progetto artistico e autore raffinato di uno dei più amati gruppi indie rock italiani.
Molte delle canzoni che compongono l’album sono scaturite da sessioni di scrittura collettive, a cui hanno partecipato tutti e tre i componendi dei Baustelle, Rachele Bastreghi, Francesco Bianconi e Claudio Brasini. Intanto dopo l’annuncio del sold out del tour primaverile nei più prestigiosi club italiani, i Baustelle si preparano a proseguire il loro viaggio musicale con Elvis tour, a cui si aggiungono sette nuovi live che li vedranno ospiti dei principali festival nell’estate 2023. Il via il 2 luglio a Tarvisio (Udine) in occasione del “No borders music festival” ai Laghi di Fusine.
« Elvis, è un disco che guarda all’America, territori che i Baustelle non hanno mai toccato – spiega Bianconi - . Volevamo anche noi dire la nostra, per vedere se certi stilemi più black americani dal rock al blues funzionano. Ovviamente il titolo è dedicato ad Elvis “il re del rock and roll”, e questo disco è un tentativo di riappropriarsi nello spirito e nella forma, di un’essenza, per l’appunto “rock”. Nello spirito perché dopo tanti anni abbiamo sentito evidentemente il bisogno di tornare a una modalità più diretta e urgente di espressione. Gli ultimi due dischi dei Baustelle avevano segnato il punto massimo di espansione verso una direzione di pop stratificato, iper-arrangiato e barocco. Erano due dischi molto cerebrali e costruiti, con i sintetizzatori analogici in primo piano». Come aggiunge Rachele Bastreghi che ha sperimentato un lavoro solista dopo anni di gruppo coi compagni di Montepulciano ora è il momento di «un ritorno alle origini, togliendoci dai compu-ter, per ritrovarsi a suonare con gli strumenti in sala. C’è bisogno di energia nuova per staccarsi da lavori complessi, per tornare più semplici e diretti».
Quest’ultimo è, quindi, «un album molto diverso da dove eravamo rimasti» aggiunge Bianconi il cui tocco poetico resta la cifra inconfondibile dei testi dell’album. A partire dalla apparentemente scanzonata Milano è la metafora dell’amore che fotografa luci e ombre della metropoli in un suggestivo videoclip realizzato grazie al Comune di Milano e Lombardia Film Commission e ambientato sulla Terrazza sull’Arco Trionfale della Galleria Vittorio Emanuele II vista Duomo e Madonnina. «Nel brano non ho nessuna paura nel dichiararmi antifascista, lo dice la Costituzione – spiega Bianconi -. Non è una sigletta per Milano, l’inno del Pd di Sala, per quanto possa apprezzare il sindaco. Non è una canzone partitica, ma sulla città in cui vivo. In questo preciso momento storico è diversa da tante città d’Italia, per l’elettorato, per l’energia, mi ci riconosco più che in altre città». Mentre invece il brano, Andiamo ai rave che riecheggia Ziggy Stardust e Lou Reed «l’ho scritto prima che scoppiasse il dibattito sui rave. Era un po’ di tempo che mi interessava puntare il dito contro la cultura del divertimento e dello sballo a tutti i costi - aggiunge Bianconi -. Parla della mono-offerta che questi poveri ragazzi hanno oggi, compresi i rave». I Baustelle cantano infatti “andiamo ai rave per non guardare il vuoto che abbiamo dentro” e ci spiegano «Se sapessero quanto altro c’è, se conoscessero la musica classica e il rock, se la musica e la varietà fossero insegnate e promosse, se i prezzi dei biglietti fossero contenuti, si formerebbe una coscienza se andare o meno tutti come pecore ai rave o a spendere tonnellate di soldi per un evento sulla spiaggia. La musica è diventata un’industria che sfrutta la voglia di divertimento dei ragazzi».
E mentre Los Angeles, pezzo rock molto teso in stile Baustelle, parte dall’osservazione vera di una ragazza che lavora in un bar e viene vessata da alcuni avventori mentre in tv passa la notizia dell’invasione dell’Ucraina citando Valerio Magrelli (»uno dei miei poeti italiani preferiti, vorrei essere lui» aggiunge Bianconi) spunta fuori anche la poetessa Louise Gluck nella toccante ballata d’amore La nostra vita. «Confesso che leggo un po’ vergognandomi anche dei libri di poesia, cosa che è un po’ in disuso - sorride il cantante -. Devo ringraziare mia moglie che mi ha fatto scoprire la Gluck, in particolare il libro Averno: la trovo di una bravura sconvolgente, emozionante per quel tono crepuscolare del suo scrivere. Lei parla dell’evoluzione dell’amore, non ci amiamo più, ma ancora ci crediamo, anche se questo fosse il capolinea. L’amore è una forma di resistenza. La canzone sembra desolante, ma tenere acceso questo neon con scritto “Io ti amerò per sempre” è una questione di fede come diceva Leonard Cohen, è una guerra e una fede». Tra glam rock e cori gospel i Baustelle nei loro brani attraversano, «la geografia del dolore » perché, come aggiunge l’autore «il mondo è dolente e dolorante in questo momento. Mi dispiace fare sempre il pessimista, ma stiamo prendendo una brutta piega dal punto di vista ecologico, c’è una terza guerra mondiale che sta per scoppiare o è già scoppiata, un modello economico di crescita infinita che sta mostrando i suoi difetti, assistiamo al fallimento di tante cose».
E se non c’è la speranza in una trascendenza, ma un annichilente sensazione di “non” senso e di vuoto nel brano Il regno dei cieli spunta però una nostalgia di felicità, in cui Bianconi canta flash della sua infanzia, i genitori, i giochi, le illusioni. A sorpresa sul finale arriva una preghiera, un “Signore vienici a salvare” stile canto liturgico delle parrocchie anni 70 cantata in coro da ospiti eccellenti come Andrea Poggio, Lucio Corsi , i Coma Cose, Antonio di Martino, Clauscalmo, Galea, Laila Al Habash, Angelo Trabace. « Il regno dei cieli è un testo per me importante, le strofe sono un flusso di coscienza dell’infanzia, dei ricordi emozionanti, delle lucine importanti e, forse, c’è anche la mia idea di Dio – spiega serio Bianconi -. Il regno dei cieli è una sorta di cosa che Dio, o chi per lui, mette nella testa degli uomini per non fargli vedere il vuoto. Se tu vedi il vuoto, ti butti da un ponte. È ispirata anche ad alcuni passi del poema L’Angel di Franco Loi. Dice che il Paradiso è il riverbero dei ricordi che abbiamo vissuto e su cui ci si adagia per vivere, per dare un senso alla vita e per non impazzire. Io tutti i giorni cerco di trovare un senso, mi piace pensare che sia così. Non sono credente ma, certo, se ci fosse davvero la Resurrezione sarebbe il massimo, trovarsi e riabbracciarsi tutti un giorno...».