16 ottobre 1943: Il rastrellamento del ghetto di Roma
Quando raccontò il suo essere Perché sono ridiventato cristiano, Jean-Claude Guillebaud, firma di punta del quotidiano francese “Le Monde” e grande editore (diresse per vari anni Seuil), scrisse pagine bellissime sull’aver riscoperto la presenza, la saggezza e l’umiltà delle varie suore e religiose che andò cercando nella Francia profonda, quella lontana dalla ribalta mediatica parigina. Lui, ex inviato di guerra del più importante quotidiano francese, scopriva le esistenze avventurose, ricche di umanità e di cultura, di passione solidale e di profondità intellettuale in vari conventi sparsi nell’Esagono, realtà che prima gli erano rimaste sconosciute. Come se non esistessero e la loro storia e presenza non fossero sostanzialmente mai avvenute. Qualcosa del genere si evince, con il gusto della storia, dei colpi di scena, dell’immedesimazione nei personaggi, dalla lettura del romanzo di Ritanna Armeni, Il secondo piano (Ponte alle Grazie, pagine 276, euro 16,90, in libreria da martedì). Ritanna Armeni ha scoperto il mondo delle suore incontrandole da giornalista nella sua collaborazione con “Donne Chiesa Mondo”, l’inserto femminile dell’“Osservatore Romano”, scoprendo un mondo a lei, intellettuale non credente di sinistra, rimasto per anni precluso sotto una coltre (lo confessa lei stessa) di pregiudizio culturale misto a ignoranza, nel senso etimologico di non conoscenza. E invece. E invece, insieme all’aver scoperto «suore ingegnere, teologhe, dottoresse, imprenditrici, grandi organizzatrici, filosofe, storiche», si è anche imbattuta in una storia davvero unica e particolare: l’azione dei conventi femminili a Roma durante l’occupazione nazista per mettere in salvo migliaia di ebrei.
Le ricerche storiografiche più attendibili parlano di quattro/cinquemila ebrei nascosti nelle case religiose di suore nella Capitale. Armeni ne ha studiata e raccontata una in particolare, la vicenda delle suore francescane della Misericordia sulla via Salaria e delle famiglie che hanno bussato a quella porta. E hanno trovato accoglienza, rifugio e salvezza. Il gusto narrativo di Armeni tiene il lettore col fiato sospeso per tutto il romanzo. Perché i sette ebrei (a cui se ne aggiungeranno altri) che chiedono aiuto alle suore francescane si ritrovano dentro una situazione davvero angosciante: da un lato il sospettoso sagrestano della chiesa a fianco, Remo, simpatizzante degli occupanti nazisti perché nostalgico del regime fascista che l’8 settembre aveva messo in discussione; dall’altra, a metà storia, un comando nazista installa nel primo piano del convento un’infermeria per soldati tedeschi che hanno bisogno di cure. Il lettore si immedesima in quell’angoscia che le suore, salvatrici di ebrei da un lato, ospiti costrette di nazisti dall’altro, dovettero provare. Fino alla liberazione americana, che suonò il gong salvifico. Ma è nel mezzo che Ritanna Armeni offre al lettore più spunti di riflessione: da un lato, il riconoscimento implicito di come solo una formazione cristiana autenticamente morale potesse permettere, sul momento, un’adesione personale e comunitaria a una scelta così difficile come mettere a repentaglio la propria vita, individuale e come convento Il confronto tra il sagrestano pio e collaborazionista Remo e il coraggio delle suore ne è una prova eloquente. In altri termini: la scelta di campo di quel tempo non poteva non poggiare su una formazione cristiana, spirituale e morale, radicale nell’adesione al Vangelo e sostanziale nella forma ecclesiale, in cui l’affidamento alla Madonna, spesso sottolineato dalla voce narrante, è un elemento sostanziale. E qui il senso femminile di affidamento, protezione sottolineato dall’autrice e impersonato nella devozione materna, è un elemento preciso della scrittura del romanzo.
E ancora, la domanda che Armeni pone in sottofondo al romanzo, e che prove storiche come quelle portate dallo storico Andrea Riccardi suffragano in senso positivo: il Vaticano sapeva e incoraggiava operazioni come quelle delle suore francescane della Salaria, oppure ne era all’oscuro, anzi le sconsigliava? Il racconto di un articolato sistema per ottenere le tessere annonarie, che comprendeva un passaggio di documenti falsificati dentro e fuori il Vaticano, appoggiandosi su un edicolante alle porte delle Mura sacre e in cui era coinvolto un giovanotto di nome Giulio e di cognome Andreotti, è un indizio che le gerarchie ecclesiastiche, con la dovuta prudenza, fecero la loro parte, e sapevano di questa rete di conventi “salvatori”, perché gli ebrei romani trovassero il più possibile una via di scampo. A Ritanna Armeni bisogna essere grati: perché pone alla ribalta, da persona aliena da intenti apologetici, una vicenda pressoché sconosciuta al grande pubblico, nel quale si rispecchia il coraggio cristiano e l’astuzia umana in favore di chi, in quel momento, era il più povero tra gli ultimi, gli ebrei perseguitati. E nelle suore della Salaria si può ritrovare un cristianesimo che diventa segno e attestazione che il Vangelo rende capace di atteggiamenti quasi sovraumani. PS: Non sarebbe male se, con un impeto di baldanzoso ardimento, le suore italiane si unissero per far sì che un romanzo del genere diventi un film tv. La lampada del bene non va nascosta sotto il tavolo, affinché il Regno di Dio venga sempre più riconosciuto come vicino e a portata di tutti.