martedì 3 settembre 2024
Dopo il lutto di quattro mesi fa, l'atleta paralimpica arriva a Parigi sognando una medaglia. Il suo motto: «Lo sport disabilita i limiti». E sull'incontro con Zanardi: «Mi ha cambiato la prospettiva»
La ciclista Ana Maria Vitelaru

La ciclista Ana Maria Vitelaru - Cip/Pagliaricci

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Ana Maria Vitelaru, classe 1983, è nata in Romania prima di trasferirsi in Italia appena diciassettenne. Un incidente mentre era alla stazione ferroviaria l’ha costretta all’amputazione di entrambe le gambe e a diversi interventi chirurgici. Lo sport è sempre stato nel suo dna. Appassionata di trekking in montagna, per quasi un decennio ha giocato ad alti livelli a basket in carrozzina, facendo parte anche della nazionale italiana femminile dal 2004 al 2009. Da sempre attratta dal ciclismo, ha poi iniziato ad allenarsi con l’handbike assieme al team di Obiettivo3, raggiungendo in breve tempo la Nazionale. Oggi è alle Paralimpiadi, con le idee molto chiare: «È una cosa grandiosa – ci ha detto – avere la possibilità di esserci. Alle spalle ho una preparazione lunga e sono consapevole della grossa responsabilità e dell’onore», soprattutto in un anno particolare dal punto di vista familiare: «Quattro mesi fa ho subito una grossa perdita, il mio fratello più piccolo. È stata una cosa improvvisa e mi ha destabilizzata, perché testa e cuore viaggiano insieme».

Per prepararsi Vitelaru ha preso un anno di aspettativa dal lavoro (in una industria tessile), cercando di mettersi in moto soprattutto in questi ultimi mesi, nonostante il lutto, con due ritiri da 20 giorni ciascuno. Se ripensa al passato, spiega che le cose sono cambiate molto da quell’incidente: «Fino al 2004 non sapevo quasi nulla delle discipline paralimpiche, perché a livello mediatico c’è una lacuna immensa, anche se ora meno di un tempo. Ho iniziato con il basket quasi per caso, poi con l’handbike è stato amore a prima vista. L’incontro con Alex Zanardi mi ha cambiato la prospettiva, con lui ho iniziato a pedalare e a vincere le prime gare».

Il resto è storia, ma se le si chiede cosa si può fare ancora per migliorare la sensibilità e l’attenzione delle persone verso lo sport paralimpico, risponde così: «Dal 2005 vado nelle scuole a parlare di disabilità e sport, dalle elementari all’università, perché manca ancora tanta informazione. Vado anche negli ospedali e cerco di fare raccolte per aiutare le persone in difficoltà: le persone devono sapere che c’è un mondo là fuori, che tutto è possibile. All’inizio per me era tutto difficile, mi sentivo sola, ma con il tempo ho capito che la mia è una vita, non una vita da disabile. Conoscere aiuta a sentirsi meno soli, a combattere la depressione di chi si chiude, aiuta ad uscire dal guscio». Un ulteriore porto sicuro è il sostegno della famiglia: «La mia famiglia purtroppo è lontana, ma ho una persona sempre molto vicino a me. Allo stesso modo credo sia fondamentale anche il sostegno della tifoseria, che dà la carica: il mio motto è che lo sport disabilita i limiti, tutti».

Sulla preparazione alle Paralimpiadi, Vitelaru ha un approccio simile a tutte le altre cose della vita: «Da bambina ho sempre avuto la passione di realizzare vestiti per bambole; mentre creavo questi vestiti li facevo a tema, e mentre facevo queste cose pensavo a cosa avrei voluto fare da grande. Oggi faccio tutto ciò che mi ero preposta da bambina; credo si debba sempre iniziare così, dalle basi, mettendo un tassello dopo l’altro, come nella preparazione alle Paralimpiadi: un passo al giorno per un obiettivo lontano nel tempo».

E sul futuro? «Dopo le paralimpiadi ci sarà il mondiale a Zurigo, ma ora mi dedico a questa competizione e a rimettere insieme i pezzi dopo la mia perdita; mi piacerebbe poter arrivare a fare una dedica speciale a mio fratello, questo è il mio sogno. La cosa più grande sarebbe arrivare a medaglia per lui, che mi aveva promesso sarebbe venuto a vedermi».

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