martedì 14 giugno 2016
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Al califfo e agli uomini del Daesh – che in questi giorni stanno incassando le disfatte più pesanti (anche se mai ammesse) dall’inizio del conflitto – non poteva capitare cosa “migliore”. Un massacro. Nel cuore dell’America. Vera o presunta che sia, la rivendicazione dell’attentato di Orlando non si è fatta attendere. I jihadisti l’hanno fatta circolare ieri tramite l’emittente ufficiale radio al-Bayan. Un riconoscimento sicuramente più “forte” rispetto alla rivendicazione uscita già domenica sull’agenzia online Amaq, vicina al gruppo. Nel bollettino radio la sparatoria viene attribuita a un «soldato del Califfato», termine che nel lessico del gruppo sta a indicare un vero e proprio «affiliato». Che il killer Omar Mateen sia stato un semplice simpatizzante oppure un «affiliato last minute», secondo l’espressione del presidente Usa Barack Obama, poca importa. Di certo, secondo gli esperti, Omar è uno che ha seguito alla lettera l’invito del Daesh a «colpire in casa» quando diventa difficile, per gli aspiranti jihadisti, raggiungere i territori del Califfato. Inviti, questi, sempre corredati da precise istruzioni: evitare i posti dove si abita e si è conosciuti; evitare di usare documenti originali e telefonini sia prima che dopo l’operazione; tenere il viso ben coperto per evitare di essere identificati; prepararsi adeguatamente prima dell’attacco; organizzare una via di fuga dopo l’attentato, usare le armi più distruttive reperibili al momento.Anche i media americani sono giunti alla conclusione che, per il Daesh, è irrilevante che ci sia un’autentica affiliazione o che gli attentati vengano compiuti da “lupi solitari”. Nel caso di Omar, è quasi certo che conosceva Moner Mohammad Abusalha, il primo kamikaze americano in Siria. Il contatto fisico con i terroristi potrebbe poi essere avvenuto in Arabia Saudita, dove Omar si era recato per due volte: nel 2011 e nel 2012. Allora il Daesh era ancora una piccola (ma pericolosa) realtà denominata “Stato islamico dell’Iraq”, in pratica la filiale irachena di al-Qaeda, ma il Fronte an-Nusra era già attivo a partire dal gennaio 2012, come filiale di al-Qaeda in Siria. È molto probabile quindi che le simpatie di Omar fossero allora semplicemente “qaediste” prima che i due gruppi entrassero in conflitto l’uno con l’altro, fino a diventare acerrimi nemici. Sui siti jihadisti si esulta per il «più grande attentato compiuto da una sola persona» negli Usa. Ma a “rovinare la festa” ai terroristi sono i Fratelli musulmani, che hanno fatto le condoglianze ai familiari delle vittime. Per questo, la Fratellanza finisce nel mirino del Daesh. Sul sito dell’agenzia Amaq, la bandiera verde del gruppo compare con i colori dell’arcobaleno, la denominazione viene storpiata («i Fratelli pervertiti») e una scritta, «Siamo tutti Orlando», viene posta al posto del versetto del Corano. Il commento è duro: «Come sono soliti fare dopo ogni attentato contro i miscredenti, i leader dei Fratelli si sono affrettati a considerare l’operazione condotta dal jihadista Omar Mateen una distorsione dell’islam. Come se l’azione della gente di Lot (come vengono definiti gli omosessuali nella retorica jihadista, ndr) fosse una virtù islamica». Le critiche prendono di mira alcuni esponenti  della comunità islamica negli Usa, come Nihad Awad, leader del Consiglio per le relazioni islamo-americane (Cair), considerato vicino alla confraternita. Awad è stato severamente attaccato per aver postato un tweet in cui si dice «disgustato per la sparatoria», esprimendo la sua vicinanza ai familiari e ai cari delle vittime. Un altro esponente dei Fm, l’analista giordano-palestinese Yasser Zaatreh, è stato criticato per essersi dispiaciuto del fatto che «l’attentato di Orlando abbia cancellato tutta quell’onda di simpatia per i musulmani d’America suscitata dalla morte di Muhammad Ali, ridestando così l’islamofobia nel Paese ». Totale disprezzo è espresso dai siti jihadisti nei confronti delle organizzazioni islamiche negli Usa che hanno invitato i fedeli musulmani a organizzare riunioni di lutto nelle moschee, oppure a donare sangue ai feriti.
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