venerdì 8 giugno 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
Una settimana fa, in Friuli, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha additato la ricostruzione di queste terre, colpite dal disastroso terremoto del 6 maggio 1976 – circa mille morti – come un modello virtuoso a cui fare riferimento. Dopo 36 anni, per la verità, resta ancora qualcosa da restaurare: il castello di Colloredo e quello di Gemona, per circa 20 milioni di euro. Tutti il resto è a posto, semmai si pensa alla prima manutenzione. 989 i morti, oltre 3mila i feriti, 600mila le persone coinvolte, di cui 100mila senza tetto; 137 i Comuni colpiti su un’area di 5.700 kmq, 75mila le case danneggiate, 18mila quelle distrutte, 18mila i posti di lavoro perduti.Ancor oggi, l’allora commissario per la ricostruzione, Giuseppe Zamberletti, dà atto all’arcivescovo di Udine dell’epoca, monsignor Alfredo Battisti, di aver puntualmente intuito le priorità, fin dall’indomani del sisma: prima le fabbriche, poi le case, infine le chiese. E così è stato, permettendo, fra l’altro, una ricostruzione dei paesi «dov’erano e com’erano», rigettando la prima ipotesi di concentrare la collina e la montagna in una nuova Udine, alle spalle del capoluogo, fortunatamente rimasto in piedi.Dall’esperienza Friuli è nato, fra l’altro, un nuovo approccio alle calamità. Sono state varate infatti due leggi nazionali rilevanti: quella della Protezione civile e la legge-quadro sul volontariato. Si parla di modello Friuli. «Innanzitutto la scelta di affidare alla Regione e agli enti locali il compito della ricostruzione – spiega Claudio Malacarne, già funzionario della Regione, che fin dal 1976 si è occupato di questa emergenza, e che oggi dedica la pensione ad un’altra emergenza, quella educativa, in ambito diocesano –: fu una scelta coraggiosa e autenticamente nuova perché, prima di allora, le grandi calamità erano state affrontate con approccio centralista. Lo Stato, oltre a provvedere ai necessari finanziamenti, si era riservato la fissazione dei grandi indirizzi e la cura di taluni interventi nei settori di competenza (viabilità statale, edilizia di culto, beni culturali, opere militari)».La Regione ha assunto, invece, un ruolo di guida e di coordinamento dell’intero processo ricostruttivo attraverso la programmazione e la legislazione, mentre gli enti locali hanno provveduto alla gestione diretta degli interventi sul territorio operando principalmente attraverso l’inedita figura dei sindaci - funzionari delegati. «Quasi anticipando le riforme successive degli anni ’90 e la riforma del titolo V della Costituzione, si è voluto dare pieno risalto al principio di sussidiarietà», rileva Malacarne. Ma la ricostruzione non è stata solo un fatto tecnico-organizzativo; è stata anche un fatto politico di coesione istituzionale e di partecipazione popolare. Dai comitati di tendopoli e di baraccopoli ai sindaci, passando per i parroci, i primi a salire sulle macerie, e poi per la Regione, i parlamentari, le parti sociali.Già allora la prima decisione fu di coniugare la ricostruzione allo sviluppo economico e sociale della regione attraverso alcune grandi scelte strategiche, come l’istituzione dell’Università di Udine e dell’Area di Ricerca, l’autostrada Udine-Tarvisio e il raddoppio della ferrovia pontebbana. La seconda? Privilegiare l’opera di riparazione su quella di ricostruzione. E ancora: il carattere solidaristico e non risarcitorio degli interventi; la possibilità per il cittadino di scegliere autonomamente tra l’intervento pubblico e quello privato; il ricorso a procedure speciali per accelerare i tempi della ricostruzione; l’emanazione di direttive tecniche da seguire negli interventi per garantire la sicurezza sismica degli edifici; l’elaborazione di prezziari di riferimento nella determinazione della spesa ammissibile a contributo. E sul piano burocratico, ma sempre in aiuto ai sindaci, la costituzione della struttura speciale denominata Segreteria generale straordinaria e l’attivazione di appositi organismi tecnici centrali e periferici per la gestione dei problemi tecnici connessi agli interventi di riparazione e di ricostruzione.L’importo delle assegnazioni statali devoluto alla Regione ammonta a circa 12 miliardi di euro, mentre quello passato ad Anas, ministeri, Ferrovie, Università) è di circa 3 miliardi e mezzo di euro.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: