L’unico rumore è il tubare dei colombi; e, al tramonto, il garrire delle rondini attorno alle torri del Castello Pio. Piazza dei Martiri è deserta; la facciata del Duomo mostra la crepa nera del terremoto. È una città fantasma Carpi, oggi, dentro la zona rossa. Gli ingressi sono sorvegliati, entrano solo i residenti; e ne escono in fretta, con una valigia per mano, per tornare alle tende. Le case inagibili, qui nel centro storico, non sono molte; ma la sequenza di scosse, e particolarmente quelle del 29 maggio, hanno lasciato nella memoria una paura così grande che i più non osano rientrare in casa. Almeno, non di notte - quando la città attorno è così deserta. Pochissimi quelli che violano il silenzio delle strade e si avventurano su per le scale, e restano a dormire. Per lo più vecchi, come la signora Teresa, che gira per piazza dei Martiri in bicicletta, serena: «Mi sembra d’essere tornata ai tempi della guerra, quando sopra Carpi passavano gli aerei alleati carichi di bombe, diretti a Nord. Anche allora non sapevi se saresti stato vivo, l’indomani. Comunque, io casa mia non la lascio. Io, rimango». Se ne sta andando invece il giovane tunisino che qui ha casa, e un centro Internet. Ha già rimandato in patria la moglie, e la bambina. «Se tornerò? Forse. Troppa, troppa paura», dice in un italiano stentato. Anche fuori dalla zona rossa Carpi sembra una città del Ferragosto, semivuota. Tutti quelli che hanno una seconda casa se ne sono andati. Molti immigrati, pure. Una fuga. Perché se ancora dopo la prima scossa la gente riusciva a scherzare («sono venute giù tante chiese, e neanche un prete», era la battuta nei bar, intrisa di un anticlericalismo alla Peppone), poi c’è stato il 29 maggio; e a Rovereto sul Secchia è morto, nella sua chiesa, don Ivan Martini. E quella mattina Carpi ha tremato come se dal basso una mano nemica la facesse sussultare; e la corsa a riprendere i bambini negli asili, e «vede quella casa? L’ho vista ballare a destra e sinistra come fosse di cartone», dicono i pensionati all’ombra degli alberi vicino a corso Fanti. Si vive guardando sull’iPhone il sito che aggiorna sui terremoti in Italia in tempo reale. Ieri, fino al pomeriggio almeno, nessuna scossa. «Peggio, vuole dire che la terra si sta caricando di nuovo...», dicono qui. E così, quasi nessuno torna, e Carpi con la sua bella piazza sembra l’ombra di se stessa. Chi la attraversa viene preso da una sottile angoscia: dove siete, viene da dire, dove sono tutti. È terribile, una città muta e vuota; e ti rincuora, appena lasci la zona rossa, l’eco della sigla del Tg della venti, da una finestra.Annalisa Bonaretti, giornalista di Notizie, il giornale diocesano, rientra dopo giorni insieme a noi in casa sua, al settimo piano. Stoviglie in pezzi ancora in terra in cucina, e un vaso di fiori in frantumi; ma, è strano, lei non si china a raccoglierli, come se di quella casa violata avesse ancora paura. Dal terrazzo lo sguardo spazia sul centro di Carpi, rosso di tegole di cotto. San Francesco dentro è devastata, e una quarantina di chiese sono inagibili nella diocesi, alcune gravemente danneggiate. («Non ci possiamo rialzare da soli – dice don Carlo Malavasi, il vicario generale –. Speriamo nell’aiuto di altre diocesi»). Si salgono le scale a piedi, gli ascensori non li prende più nessuno. Chi come noi non c’era, quel giorno, fatica a capire la profonda angoscia nel sangue della gente. Che dorme in tenda, o in auto; e se proprio osa stare in casa si corica vestita, con la luce accesa e le porte aperte: pronta a scappare. La scossa del 29 maggio alle 13 in particolare ha lasciato un segno indelebile. Annalisa era nel cortile dell’ospedale: «Ho sentito la terra sotto ai miei piedi fremere, un rumore come se sotto friggesse. Ci siamo chiesti smarriti: ma cosa c’è, sotto a Carpi?».Un’ombra sotto la città, di cui si era persa la memoria. Nel Cinquecento sì, c’era stato un violento terremoto. Ma quattro secoli sono un tempo grande per gli uomini - e insignificante invece, per la faglia appenninica che preme, nelle viscere della pianura. Che sembra così rigogliosa e docile in questo inizio d’estate, nel maturare dei campi. La gente, qui, dalla sua terra si sente come tradita. Girano strane voci - leggende, certo: si sente dire che la scossa del 29 era di magnitudo assai più forte che 5.9, e che le autorità non vogliono ammetterlo. Si sente dire di morie di pesci, il giorno prima della scossa, nelle rogge. In ogni bar gli avventori ce hanno con i sismologi, che «non capiscono niente, non sanno niente, ma che scienza è? E a noi chi lo aveva mai detto, che Carpi era una zona fortemente sismica?». E però, nelle tendopoli si respira anche qualcosa di diverso dalla rabbia. Nadia Bertelli, segretaria di Cl a Carpi, parla di quello strano convivere tutti assieme al piano terreno del suo palazzo: «Un modo di stare insieme nuovo, oltre i confini stretti delle nostre case». A Budrione, frazione di Carpi, accanto alla chiesa inagibile c’è una tendopoli con 60 sfollati. Qui c’è gente che ha perso tutto. «Eppure tra noi sperimentiamo una vicinanza prima impensabile», dice il parroco, don Andrea. Nella paura, in questa oscurità di viscere che improvvisamente sembra governare la solare pianura, restano dei segni. Don Carlo Malavasi dice che don Ivan Martini «ha lasciato una scia luminosa di paternità. Era uno che metteva sempre avanti il cuore, e così ha fatto anche l’altra mattina, per salvare le cose sacre della sua chiesa. Ma avesse visto le facce della gente, al suo funerale. La sua morte, è stata un seme».E ora, anche quando venerdì, pare, il centro della città tornerà accessibile, la vita sarà dura. Oltre alla paura, il lavoro. Quelle crepe orizzontali che segnano alcune case apparentemente intatte, sono cedimenti strutturali. Il tondino di ferro dentro al cemento è deformato. Le fabbriche sono bloccate, in attesa di una richiesta «certificazione di antisismicità» che non sanno come procurarsi. Alcuni maglifici si sono fermati e le multinazionali non aspettano. Telefonano, chiedono: «Allora, consegnate? Sennò andiamo altrove». L’ansia toglie il sonno. «Ci chiedono ansiolitici. La casa, da luogo sicuro, è diventata un nemico», dicono alla farmacia di via Pezzana. E si sente dire che il noleggio di un camper è passato da 140 a 300 euro al giorno. Sulla Gazzetta di Carpi, segnalazioni di pane venduto a 10 euro al chilo. Perchè un terremoto, è come il vaglio di un setaccio. Viene a galla il peggio – gli sciacalli che annunciavano scosse imminenti, nei giorni scorsi – ma anche il meglio degli uomini. Sergio Zini, responsabile della Cooperativa Sociale Nazareno, lavoro e scuola per 200 disabili: «Un’amica mi ha detto: sai, oggi ho capito che il 95 per cento delle mie preoccupazioni finora erano sciocchezze». Quando il mondo trema, rimane l’essenziale. Zini è certo che Carpi si rialzerà: «Questa non è gente che scappa». La sfida, in questa terra di abbondanza, comincia qui - nella sua splendida piazza ammutolita.
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