«Rischiano tutti di morire di cancro» disse Carmine Schiavone nel corso dell’audizione dell’ottobre del 1997 davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo di rifiuti. «Non credo infatti che si salveranno – proseguì – gli abitanti di paesi come Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno e così via. Avranno, forse, venti anni di vita». Tutta colpa di ciò che è stato interrato nella zona: rifiuti radioattivi «dovrebbero trovarsi in un terreno sul quale oggi ci sono le bufale e su cui non cresce più erba», raccontava Schiavone. Fanghi nucleari, riferiva, arrivavano su camion provenienti dalla Germania. Riferendosi al traffico illegale di rifiuti nocivi, Schiavone spiegò che divenne un business «autorizzato» per il clan dei Casalesi nel 1990. «Tuttavia – confessò il pentito – quel traffico veniva già attuato in precedenza». Le dichiarazioni dell’esponente di punta del clan dei Casalesi da ieri sono a disposizione di chiunque voglia prendersi la briga di leggerle: i verbali sono diventati pubblici, dopo la rimozione del segreto. L’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati ha espresso all’unanimità parere favorevole alla declassificazione degli atti secondo la procedura prevista dal Regolamento dell’Archivio storico della Camera. Con questa decisione la Camera ha voluto dare una risposta alla legittima richiesta dell’opinione pubblica e soprattutto delle popolazioni che abitano quelle zone dell’Italia martoriate dalla gestione illecita dei rifiuti, che chiedevano di fare piena trasparenza sulle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia alla Commissione parlamentare. I documenti sono quindi da ieri liberamente consultabili presso l’Archivio storico della Camera: sarà anche possibile accedervi direttamente dalla sezione del sito internet della Camera relativa ai lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse operante nella XIII legislatura.
Una lettura tanto interessante quanto inquietante: secondo Schiavone, poi divenuto collaboratore di giustizia, rifiuti tossici-nocivi sono stati interrati lungo tutto il litorale Domitio e sversati anche nel lago di Lucrino, specchio d’acqua che si trova nell’area flegrea.
Il boss si soffermò a lungo sulle modalità di smaltimento: «Avevamo creato un sistema di tipo militare – spiegava – con ragazzi incensurati muniti di regolare porto d’armi che giravano in macchina. Avevamo divise e palette dei carabinieri, della finanza e della polizia. Ognuno aveva un suo reparto prestabilito».
Un’organizzazione che funzionava a puntino e fruttava almeno 600-700 milioni di lire al mese al clan dei Casalesi che, nel 1990, decise di versare i soldi frutto di questo business nella cassa comune della cosca. Il business, fino a quel momento – raccontò “Sandokan” a chi lo interrogava – avveniva di soppiatto all’interno del clan e, a scoprirlo, fu proprio lui, Carmine Schiavone: «All’epoca – raccontò – tenevo ancora il relativo registro in cui figurava che, per l’immondizia, entravano 100 milioni al mese, mentre poi mi sono reso conto che in realtà il profitto era di almeno 600-700 milioni».