«L’Unione europea rompa gli indugi. Serve una politica davvero "comune" nella gestione dei flussi migratori, una grande piattaforma normativa "multidisciplinare" condivisa fra gli Stati, unita a un’azione di cooperazione allo sviluppo nei Paesi di provenienza...». Il ministro per gli Affari europei, Enzo Moavero Milanesi, è a Bruxelles. La tragedia di Lampedusa, col suo doloroso fardello di vite sacrificate in mare, ha scosso l’animo dei governanti del vecchio continente. Ma il cordoglio non basta, ragiona Moavero, occorre «un organico piano d’azione che vada ben al di là degli interventi, pur necessari, dettati dalle urgenze. Se non vogliamo rincorrere le emergenze ma provare a governarle, non è sufficiente ritoccare singole misure. Serve un vero o proprio salto di qualità».
Cosa propone, ministro?Un nuovo approccio comune, attingendo alla "cassetta degli utensili" della tradizione normativa europeo, come le direttive e gli accordi. Lo si è fatto negli ultimi anni per la crisi economica e finanziaria, ricorrendo a strumenti innovativi, lavorando per un’unione fiscale e bancaria e vigilando sulla disciplina dei bilanci degli Stati. Perché non può farsi altrettanto per le questioni poste dalle grandi migrazioni verso l’Europa, ancora affrontate in maniera disorganica?
Una «asimmetria d’impegno», la definisce lei...Sì. Il risultato è una frammentazione di competenze fra Stati e Ue, risorse finanziarie limitate, norme e politiche europee inadeguate.
Ma sul tema non c’è una visione comune. Come valuta le resistenze di alcuni dei 28 Stati membri ad una possibile revisione della convenzione di Dublino sul diritto d’asilo?Credo che valutare, e se occorre rivedere, le regole di Dublino non debba essere un tabù. Da tempo, ci si chiede se quei meccanismi siano ancora efficaci: è chiaro ad esempio come, pur essendo raggiunte dagli sbarchi, l’Italia o la Grecia non siano fra i maggiori territori di permanenza dei profughi. Bisogna prendere coscienza della necessità di una politica europea che disciplini tutti i vari aspetti rilevanti per ciascuna persona migrante: arrivo, registrazione, accoglienza, asilo, soggiorno, permessi di lavoro, welfare. Sarebbe significativo se se ne iniziasse a discutere già nel prossimo Consiglio europeo del 24-25 ottobre, riprendendo quel discorso di solidarietà iniziato al vertice di Tampere nel 1999.
In Italia, intanto, si discute animatamente di modifiche alla legge Bossi-Fini. Cosa ne pensa?Un più completo quadro normativo europea potrebbe consentire di superare anche le divergenze sulle legislazioni degli Stati. Sarebbe opportuno che qualsiasi iniziativa nazionale venga armonizzata a livello europeo.
C’è chi argomenta: armonizzare le norme Ue non rallenterebbe comunque i flussi di popolazioni in fuga da guerre e povertà.È vero. Ma anche qua, si dovrebbe guardare alla più alta e nobile tradizione europea di cooperazione coi Paesi d’origine. Mi riferisco al modello di quei grandi accordi di partenariato commerciale siglati fra l’allora Cee e i Paesi Acp (Africa, Caraibi e Pacifico) tra il 1963 e la fine del secolo scorso, noti come convenzioni di Yaoundè e di Lomè.
Lei immagina un piano d’intervento che superi la logica degli aiuti umanitari?La Ue potrebbe finanziare, coinvolgendo nel dialogo anche l’Unione africana, un articolato programma di cooperazione allo sviluppo che ponga le basi per maggiore stabilità e benessere in quelle nazioni: non si emigra in terre lontane, rischiando la vita ad ogni passo, se si ha una ragionevole speranza di vivere degnamente nel proprio Paese.
Ciò potrebbe portare a superare anche la logica attuale degli accordi bilaterali fra Stati?Se la Ue optasse per una vera azione comune, si potrebbe a quel punto immaginare la sottoscrizione, a livello europeo, degli attuali accordi bilaterali. E anche la sorveglianza delle frontiere esterne e il contrasto alle reti dei trafficanti sarebbero inseriti in un sistema di norme integrato.
Secondo lei, Frontex funziona?Non va denigrata, dicendo semplicemente che non funziona. Ma, vista l’emergenza in atto, si dovrebbe avviare una verifica di strumenti e "regole d’ingaggio", puntando a farli funzionare meglio.
Domani il presidente della Commissione Barroso sarà a Lampedusa. Cosa si può fare nell’immediato?A fronte di una simile tragedia, è essenziale muoversi subito con azioni di concreta solidarietà: ci sono capitoli del bilancio Ue che possono consentire un aiuto immediato alla comunità dell’isola, che da anni con generosità affronta l’ondata di sbarchi.