La posizione al centro del Mediterraneo è da sempre la fortuna e la disgrazia di Malta, il più piccolo dei 28 membri dell’Unione europea. È in questo arcipelago in mezzo al mare che arrivano persone da due continenti. Dall’Africa disperati in fuga da guerre, carestie, persecuzioni religiose e razziali. Dall’Europa coloro che sono alla ricerca di un’occupazione nella crisi economica che attanaglia il vecchio continente. A Malta si arriva, ma una volta approdati – non importa se su un barcone alla deriva o su un volo low cost – è il dopo che non è facile. Sono centinaia i barconi della speranza che attraversano il braccio di mare che separa Malta, ma anche Lampedusa e la Sicilia, dal Nord Africa. Arrivano qui e per quelli di loro che riescono a rimanere – anche questa è una scommessa con il destino – si aprono le porte di due campi profughi, al Far e Safi, ognuno diviso in ulteriori centri. In questi giorni sono pieni e insieme ospitano quasi 1.200 persone. A raccontarci la situazione, è il Jesuit Refugee Service, che dal 1994 è presente sull’isola e si prende cura dei migranti, assistendoli soprattutto legalmente, perché la quasi totalità fa richiesta di asilo politico e quasi nessuno sa come compilare i documenti. Il centro dei gesuiti, che si trova nella località di Birkikara, mette a disposizione dei migranti una quindicina di volontari, tra cui avvocati, assistenti sociali e un’infermiera. Visitano i centri soprattutto il martedì, mercoledì e giovedì, mentre il lunedì vanno ad incontrare quelli a cui il governo ha trovato assistenza in altre strutture. La domenica, a rotazione, si celebra la Messa in uno dei campi. Tra i compiti più difficili, ci raccontano, c’è l’assistenza ai bambini e ai ragazzi. Il primo problema è stabilirne l’età. Operazione che talvolta può richiedere mesi. E in questo periodo purtroppo i ragazzi non possono andare a scuola. Per loro, per le loro madri, per gli uomini che cercano un impiego, la presenza dei gesuiti è di vitale importanza. Si tratta di ricominciare una nuova vita ma non è facile fare il primo passo: uscire dal campo profughi, entrare nella legalità, trovare un lavoro. È la stessa speranza degli europei che guardano a questo estremo lembo d’Europa come a un’opportunità per ricominciare. Tantissimi gli italiani, facilitati dalla lingua, ma anche spagnoli, greci e cittadini delle ex repubbliche sovietiche di Lettonia, Estonia e Lituania. Tutti si scontrano con la prima caotica realtà: Castille Palace, dove bisogna consegnare i documenti per chiedere la "residence card". Come sia possibile che Malta sia diventata la meta di tante persone in cerca di lavoro è presto detto: tra alberghi, ristoranti, bar, locali notturni, l’industria del turismo dà lavoro a centinaia di persone ed è in continua crescita. Anche per il fatto che Paesi a vocazione turistica come l’Egitto e la Tunisia sono diventati troppo instabili. C’è poi un regime fiscale favorevole. E inoltre il fatto di far parte della zona euro e dello spazio Schengen, ha reso l’isola ancora più appetibile. Il primo serio ostacolo? La burocrazia. Prendiamo un modello per richiedere la carta di residenza e scopriamo che compilare i documenti non è poi molto difficile. Il problema sorge quando bisogna affidarli alla ragazza della reception, una sola per decine di persone. Consegnato il modulo, non si ottiene però in cambio alcuna ricevuta. Le persone si accalcano, chi per prendere informazioni, chi per essere sicuro di consegnare il documento esatto. Ma è una confusione densa di speranza. Si capisce che tutti sono qui per cominciare una nuova vita, per trovare lavoro. Tanti anche gli studenti, perché Malta è diventata una delle mete più gettonate per lo studio dell’inglese. Ma numerose pure le persone anziane, soprattutto britannici, che hanno fatto dell’isola il loro buen retiro dopo la pensione. Tutti devono consegnare la domanda di richiesta e indietro non vedono tornare nulla. Solo dopo molte insistenze gli impiegati rivelano che la ricevuta - un foglio A4 di colore blu - verrà consegnato «non prima di due mesi». La carta di residenza, invece, rimane un sogno lontano, che si ottiene «non prima di otto settimane», (e fanno altri due mesi) da quando si ottiene la carta blu-ricevuta. Le domande si accumulano, i fascicoli nelle stanze 1 e 8 (quelle per i cittadini di Ue, Svizzera, Norvegia, Islanda e Lichtenstein) sommergono le scrivanie, ma non basta. Vengono sistemati, ordinatamente, anche per terra. Il caos è dovuto non soltanto alla mole di richieste, ma anche dal fatto che il governo di Valletta, da gennaio, ha introdotto la e-card, che è plastifica e contiene i dati biometrici, per gli stranieri. La macchina burocratica non è ancora rodata e il "Time of Malta", ha recentemente titolato: "Un incubo l’attesa".Allo stesso piano, il secondo, del Citizenship and Expatriate Department di Castille Palace, si scorgono anche i volti di persone che sicuramente non appartengono a paesi membri della Ue. Un gruppo di donne, con i vestiti coloratissimi, proviene dal Corno d’Africa. Ci sono due ragazzi che parlano arabo: provengono dalla Libia. Per loro già essere qui, su appuntamento con tanto di numeretto, è un traguardo. Ora possono alzare lo sguardo sul futuro.