«Le conseguenze fisiche della drunkoressia sono molte e gravi, ma quelle che allarmano di più sono quelle psicologiche». È preoccupata Anna Rita Atti, psichiatra e ricercatrice dell’Università di Bologna, che da qualche anno si è accorta, ascoltando i suoi pazienti, di un aumento di persone che comunicano questo disagio.
La drunkoressia in che rapporto è con gli altri disturbi alimentari?Non si può parlare di drunkoressia come di una nuova patologia al pari della bulimia, dell’anoressia e di altre disturbi. Ci troviamo davanti a un nuovo fenomeno che non va sottovalutato e che bisogna analizzare in profondità. Il nome drunkoressia confonde parecchio le idee, perché la associa erroneamente alla patologia anoressica.
In che cosa si differenzia?Il malato tipico di anoressia è estremamente preciso, ordinato, poco o nulla propenso all’appagamento del piacere. Difficilmente una persona anoressica desidera bere in maniera smodata. Il principale fattore di disagio nel malato di anoressia è il controllo, e una persona iper controllata per definizione non ama perdere lucidità o essere disinibita. Poi l’anoressico tipico non si trova a suo agio all’interno della società. Passa la maggior parte del tempo da solo.
Un fenomeno da leggere al contrario, quindi...Il drunkanoressico mangia pochissimo, o smette proprio di mangiare, per potersi «sballare» alla sera. Per poter dare il meglio di sé fra gli amici, per sentirsi più disinibito e più sciolto. Un giovane coinvolto in questo fenomeno desidera stare al centro di una società che punta al top delle prestazioni. Chi è alterato dall’alcol si sente più sicuro. Dopo arriva il problema del cibo, quando ci si accorge che bevendo si aumenta di peso.
Che ruolo gioca il cambiamento della società?Nella società attuale è completamente cambiata la modalità del consumo alcolico. Fino a venti, trent’anni fa si bevevano alcolici e superalcolici durante i pasti, attorno alla tavola. Poi dal mondo anglosassone è arrivato il modello della vita notturna collegata a un consumo massiccio di alcol per sballarsi. Anche l’alta reperibilità di sostanze alcoliche a costi contenuti non aiuta a ostacolare il fenomeno. Basta pensare alla diffusione della moda dell’aperitivo dove, nella maggior parte di casi, si mangia poco e si beve moltissimo.
Quali sono i soggetti più a rischio?I giovani tra i 14 e i 20 anni, ma ci sono casi anche di persone adulte. Questa fascia d’età è molto fragile perché è caratterizzata dalla ricerca dei grandi ideali ma anche da crisi provocate dalla scarsa stima di se stessi. È un periodo in cui si è facili vittime della massificazione.
Come aiutare genitori ed educatori a riconoscere i sintomi?Rapidi cambi di umore, isolamento, fragili amicizie e inversione del ritmo sonno-veglia sono le spie principali. I genitori che si accorgono di questo disagio devono tentare un confronto con i figli per farli aprire. Ma non sarà facile. L’affiancamento di figure professionali può essere considerata la scelta migliore.