Ancora cola. Rivolta lo stomaco. Puzza, fa girare la testa a respirarlo, bisogna trattenere il fiato o indietreggiare. Ancora adesso, cinque o sei anni dopo. È collante seppellito qui, mezzo metro sotto terra, che scivola giù da quanto resta di un bidone, ormai accartocciato e roso, ma che finora alcuni grammi di questo collante violentemente tossico li ha "protetti". Tanto tossico da
sciogliere i guanti degli uomini della Forestale e dei tecnici dell’Arpac (l’Agenzia regionale per l’ambiente campana) che la stanno maneggiando e d’aver provocato loro qualche lieve, momentaneo malore. Tutto campionato e sigillato.
«L’anticamera dell’inferno». Se i roghi di rifiuti pericolosi almeno quando bruciano si vedono, qui – a due passi da Caivano – sotto 70mila metri quadrati di terreno coltivato a broccoli e cavolfiori, c’è tutto quanto possa uccidere in modo invisibile e muto. «Si ha la sensazione di stare nell’anticamera dell’inferno», dice e scuote la testa il generale Sergio Costa, che comanda il Corpo forestale provinciale napoletano: «Questa è, assolutamente, una zona ad alto rischio».
"Sigilli" anche al pozzo. Il terreno l’hanno sequestrato ieri mattina. Dopo avervi scoperto «tra 200mila e 300mila metri cubi di rifiuti pericolosi e speciali», racconta Costa. Meglio, quanto ai particolari, aggiungere soltanto lo stretto necessario: «Abbiamo trovato, letteralmente, di tutto, dalle morchie esauste (depositi gommosi di oli e petroli,
ndr) alle scorie industriali, dai collanti all’amianto in grandissime quantità, agli asfalti e a molto altro». A proposito, «le morchie erano vicine alla falda acquifera». Infatti sono stati messi i sigilli anche a un pozzo...
«Bidone? No, era una carriola». La grande scavatrice nemmeno deve affondare troppo per riportare alla luce le follie assassine interrate qui nel 2007 o 2008 (secondo i tecnici dell’Arpac): in alcuni punti va giù uno o due metri, in altri bastano trenta centimetri. Il proprietario di questo terreno è un ottanquattrenne medico in pensione, denunciato e sfrontato fino alla presa in giro. Vorrebbe convincere i militari (e non ci si riuscirebbe nemmeno con un bambino) che quel bidone sarebbe stato una carriola... I militari hanno scoperto tutto grazie ai rilevamenti aerei, perché si sono accorti dei movimenti di terreno, sono venuti a controllare ed è saltata fuori la realtà.
Sequestrati 13 ettari. Quest’operazione l’hanno chiamata "
Biscotto" e la ragione si capisce facilmente guardando le pareti delle buche (lunghe fino a sei, sette metri e profonde da uno a cinque o sei) scavate dalla Forestale. Tre strati, come un biscotto farcito: da sopra a sotto c’è la terra, poi i rifiuti industriali e pericolosi e una bella copertura con altra terra, quella coltivata. Come gli altri sei ettari di pomodori sequestrati venerdì scorso e confinanti con questi. Cioè complessivamente 130mila metri quadrati alle spalle (non più di trecento metri) del megacentro commerciale "Campania", che si vede assai bene, costeggiandolo per un tratto, pochi chilometri dopo avere lasciato l’autostrada Roma-Napoli.
Sulla tavola di mezza Italia... Questi broccoli e cavolfiori e pomodori (ma anche asparagi che sono non troppo più in là) finivano sulle tavole di mezza Italia. «Chissà quanta gente deve avere ucciso e fatto ammalare questo campo...», sussurriamo. «E come potremmo mai saperlo?», risponde un Forestale. Sono turbati anche loro, benché nessuno sia un pivello, ma gente che fa questo mestiere da una vita e ne ha viste. Che senza guanti e mascherina non tocca nulla, neppure i mille pezzi sbriciolati d’amianto.
Solo l’inizio. La scena è surreale e amara. Il nastro rosso e bianco e i fogli dell’ordinanza di sequestro sventolano a pochi metri da serre e coltivazioni, il centro commerciale sullo sfondo. La scavatrice lavora senza sosta, militari e tecnici infilano "reperti" dentro barattoli, annotano sulla targhetta e sigillano. Tra poche ore è finita? «Qui sì. Per il resto siamo all’inizio».