«Aiutateci, venite a prenderci, stiamo affondando». Sono le 18 circa di giovedì pomeriggio quando alle sale operative della Guardia costiera di Palermo e Roma arrivano alcune telefonate di richiesta di soccorso. Le orecchie dei marinai in servizio sono esercitate all’interpretazione di quelle chiamate confuse, disturbate, fatte in lingue diverse e mischiate tra loro. C’è la concitazione della paura di chi teme di annegare e la forzata tranquillità di chi, a centinaia di chilometri di distanza, può riuscire a tendere l’unica ciambella di salvataggio. Gli uomini in sala operativa chiedono chiarimenti sulla posizione dell’imbarcazione, sul numero di persone a bordo, sulle condizioni di salute, ma niente, nessuna risposta utile viene fornita. C’è solo una frase generica: «Vediamo in lontananza una pietra», che probabilmente è l’isolotto di Lampione, al largo della più grande delle Pelagie, in mezzo al Canale di Sicilia.Ma le operazioni scattano immediatamente, coordinate dalla Guardia costiera, come racconta il capo dell’Ufficio relazioni esterne, il comandante Filippo Marini. «Per individuare il barcone, è stato fatto subito decollare un elicottero della Guardia costiera di stanza a Lampedusa, da dove sono partite per le ricerche anche alcune motovedette della Guardia costiera, della Guardia di finanza, dei Carabinieri - ricostruiscono i soccorritori -. Poi si sono aggiunte anche una nave della Nato, una della Marina militare italiana, una della Marina turca e un’altra di quella tedesca. All’inizio le ricerche non hanno dato esito positivo».Le telefonate di richiesta d’aiuto sono arrivate da cellulari Gsm, non satellitari, così, parallelamente all’invio dei mezzi navali e aerei, viene chiesto ai gestori telefonici di tentare la localizzazione del punto di partenza di quelle chiamate disperate. Le operazioni di ricerca vanno avanti, da cielo e da mare, le condizioni del mare sono favorevoli, «ma mancava la luna, c’era buio pesto. Così abbiamo dovuto usare proiettori che facessero luce e un Atr per le ricerche a lungo raggio». Finalmente, intorno alle 2,20 vengono avvistati i primi due naufraghi, si trovano in mare, sono terrorizzati, sentono freddo, guardano le braccia e i volti dei loro soccorritori con gli occhi colmi di gioia e di lacrime. A quel punto gli altri naufraghi vengono individuati in poco tempo, «alcuni erano aggrappati agli scogli, altri in acqua. In totale ne abbiamo salvato 56, di cui una donna in gravidanza. Poi abbiamo recuperato un cadavere, ma i superstiti parlano di tante altre persone disperse. Come al solito in questi casi, i numeri sono discordanti, ma tutti dicono che sulla barca c’erano più di cento persone».Le operazioni di ricerca non si sono fermate neppure durante la notte appena trascorsa. «Il nostro principale obiettivo è quello di salvare quante più vite umane possibile». Ma l’imbarcazione di cui tutti parlano non si trova. Le unità impegnate nelle operazione di ricerca e soccorso non hanno trovato finora traccia del relitto. L’imbarcazione potrebbe essere affondata rapidamente, anche se le condizioni meteo nella zona non sono proibitive e in mare non stati trovati segnali dell’avvenuto naufragio. Ascoltati, dopo il loro arrivo a Lampedusa, i migranti dicono di essere tutti di nazionalità tunisina, ma sul porto di provenienza non danno indicazioni precise. E tutti dicono che l’imbarcazione di legno è affondata, «ma in quale punto e a che ora sia colata a picco non riescono a stabilirlo - aggiungono dalla Guardia costiera -. Anche sul giorno di partenza non ci sono versioni concordanti. C’è chi dice giovedì, c’è chi parla di un viaggio di due giorni».ANCHE CINQUE MINORI SENZA GENITORI TRA I SUPERSTITIProvati fisicamente e fortemente scossi per il dramma vissuto dopo esser rimasti in acqua per ore cercando di raggiungere a nuoto l’isolotto di Lampioni. Queste le condizioni dei 5 minori non accompagnati che risultano al momento presenti tra i migranti tunisini superstiti del naufragio nei pressi di Lampedusa. È quanto è stato riferito agli operatori di Save the Children che forniscono supporto ai minori e ai bambini presso il Cpsa di Contrada Imbriacola dall’inizio della ripresa degli sbarchi.«Siamo addolorati per la vittima e i dispersi del tragico naufragio avvenuto a Lampedusa, e ci stiamo adoperando per fornire supporto in particolare ai minori superstiti, tra i più vulnerabili», ha dichiarato Valerio Neri, direttore Generale di Save the Children Italia. «Non vogliamo dimenticare però», ha aggiunto, «che questo naufragio segue altri sbarchi avvenuti nel corso dell’estate non solo sull’isola, ma anche in Sicilia, Calabria e Puglia, dove abbiamo registrato spesso l’utilizzo di imbarcazioni fatiscenti e il più delle volte stipate all’inverosimile, e dove la presenza di donne, bambini e minori che si espongono al rischio stesso della vita è una costante». «Di fronte al rischio consapevole che una tragedia in mare può avvenire in qualunque momento, è indispensabile che le autorità nazionali e internazionali facciano ogni sforzo per rinforzare e moltiplicare le iniziative di prevenzione e di sicurezza in mare, e deve essere immediatamente revocata la dichiarazione di »porto non sicuro« per Lampedusa al fine di garantire a tutti i migranti immediato soccorso e prima accoglienza.»
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